Chi spara sentenze su Facebook?

Qui però non si tratta di censurare le opinioni, ma di vigilare sui pregiudizi
Carlo Silini
23.08.2017 02:05

di CARLO SILINI - A leggere le decine di commenti quotidiani al vetriolo, mitragliati sui social network senza complimenti, senza vergogna e spesso senza il minimo riscontro con la realtà, vien da chiedersi se persone mediamente razionali ed empatiche nel mondo reale, una volta entrate nel web non si trasformino per incantesimo in ringhiosi e ottusi sparasentenze. Come se, di fronte a qualsiasi episodio, foto o frase mal digerita pescata ad arte nel mare magnum dell'online o rimbalzata per caso fino alle loro bacheche sociali, si attivasse il virus dormiente dell'onniscienza valutativa. Non si sa a che titolo lo facciano, ma sembrano tutti esperti di sicurezza, di economia, di politica e di terrorismo. Non hanno dubbi. Mai. Detengono una verità che di solito sentono l'urgenza di dispensare sotto forma di sfottò, o più spesso di insulti, nei confronti di chi non la pensa come loro. O magari ha il solo torto di risultargli antipatico.

Come il ragazzo sparito di casa in quattro occasioni qui in Ticino e per il quale è stato diramato più volte un avviso di ricerca di persona (ne parliamo diffusamente nel Primo Piano di oggi). Sarà la reiterazione dell'appello, sarà che è un adolescente di colore, fatto sta che è stato sommerso – lui e la sua famiglia – da una colata di fango virtuale, sotto forma di battute inopportune, giudizi sommari, condanne morali e veri e propri insulti gratuiti a lui e ai suoi cari. Adesso alcuni autori di quei post – interpellati dal nostro giornale – si dicono pentiti, altri ridimensionano la portata delle parole espresse e altri ancora non si rimangiano nulla, ma chiedono che il loro nome non appaia. È l'aspetto meno nobile della faccenda: si tira il sasso e si nasconde la mano. C'è chi lo fa in modo scientifico creando falsi profili su Facebook (si chiamano troll) proprio per poter insolentire chi si vuole senza freni e senza il rischio di essere identificati. Poi cancella il troll e chi si è visto si è visto.

A questo punto qualcuno potrà obiettare che sì, è brutto, ma che è pur sempre il rovescio della medaglia di un valore che dobbiamo difendere a tutti i costi: la libertà di opinione e di espressione. Altrimenti è un attimo cadere nella censura. Qui però non si tratta di censurare le opinioni, ma di vigilare sui pregiudizi, di evitare che – in nome della libertà – alla fine un'idea stupida, razzista o diffamante valga di più di un'opinione ponderata, espressa con forza ma comunque entro i limiti del rispetto dell'altro, anche quando si tratta di un nemico.
Possiamo anche ridere della provocazione del giornalista italiano Luca Bottura, poi rilanciata dalla starlette da rotocalco Nina Moric, che ha postato su Facebook una foto con due persone di colore su una panchina col seguente messaggio: «Vedere anche in località turistiche come Forte dei Marmi e Milano Marittima immigrati che bivaccano sulle panchine con i nostri 35 euro è veramente troppo».

Ma gli «immigrati» di cui si parlava erano nientemeno che l'ex stella dell'NBA Magic Johnson e l'attore americano Samuel L. Jackson (Quei bravi ragazzi, Pulp Fiction, Iron Man). Si è capito solo dopo che si trattava di un modo per ironizzare sui luoghi comuni riguardo agli immigrati. E va da sé che ognuno di noi può incappare in una battuta infelice o in un giudizio eccessivo o superficiale e di fare click senza pensarci. Salvo pentirsene dopo, quando è troppo tardi per rimangiarselo. Non vogliamo certo un regime morale che vigili sul nostro linguaggio nella Rete. Ci mancherebbe. Di talebani ce ne sono già abbastanza, non solo nel mondo islamico.

Ma ci interroghiamo sulle derive del discorso sociale. La forma è anche contenuto. Dire «non sono d'accordo per questa e quest'altra ragione» è diverso anche nella sostanza che dire «sei un coglione» o molto peggio. Nel primo caso si attaccano le idee e si cerca di argomentare contro di esse sempre e solo sul piano delle idee. Nel secondo si attacca la persona. Niente è più sbagliato dello slogan: «Io rispetto le idee di tutti», non ha alcun senso. Perché non è giusto rispettare idee pericolose, false, fuorvianti, menzognere. Ma ha sempre senso rispettare le persone e la loro capacità di confrontarsi con le opinioni contrarie in un faccia a faccia civile che ormai non c'è più. Del resto, ha senso stupirsene? Se l'esempio viene dall'alto, dalle vette di una politica declinata a suon di «vaffa» in tempi in cui si esalta la «post verità», non si può pretendere che nei social network abbondino stile, correttezza e cortesia.