Come nel 2019? Non proprio
La memoria può essere labile. Sovente è selettiva. Per quanto difficile, ricordare compiutamente è però un esercizio doveroso. Imparziale. La partecipazione a Euro 2024 guadagnata dalla Svizzera con un turno d’anticipo, in tal senso, ci ha riportato alla mente il percorso di qualificazione all’ultima rassegna continentale. Quella spostata di un anno, nel 2021, a causa della pandemia. Proprio come accaduto durante questa campagna, pure il gruppo guidato da Vladimir Petkovic si ficcò nei pasticci in un girone che avrebbe dovuto addomesticare con autorità. Ricordate? In vantaggio di tre reti contro la Danimarca, al St. Jakob, i rossocrociati riuscirono nell’impresa di farsi rimontare tra l’84’ e il 90’. Guarda caso lo stesso copione del 2-2 casalingo con la Romania, in giugno. A Dublino, poi, la modesta Irlanda impose a quella Svizzera un altro pareggio. Di nuovo nei minuti finali, un po’ come successo due volte al cospetto del Kosovo e mercoledì contro Israele. Il punto più basso - paragonabile al 3-3 di San Gallo con la Bielorussia - venne tuttavia toccato a Copenaghen, quando un’altra rete al tramonto ci condannò alla sconfitta e addirittura al 3. posto provvisorio. «C’è del marcio in Danimarca» titolò il CdT, alludendo ai molteplici mali che affliggevano la selezione di «Vlado». L’accesso diretto all’Europeo, a tre turni dal termine, fu d’improvviso messo in discussione. Ieri. Nel 2023.
All’ultima edizione itinerante e al torneo in Germania della prossima estate, infine, la Nazionale elvetica c’è stata e vi sarà. E ci mancherebbe. L'ennesimo pareggino valso la qualificazione costituisce il minimo sindacale per una compagine che solo un anno fa si presentava in Qatar con la convinzione di poter «scrivere la storia». Ecco, a proposito di storia. Dopo i balbettii del 2019, la Nazionale di Petkovic seppe per davvero superarsi, toccando vette che le sembravano precluse per carenze e demeriti quasi atavici. L’inebriante vittoria ai rigori contro la Francia, negli ottavi di finale, e pure i commoventi quarti disputati al cospetto della Spagna, offrirono a tutto l’ambiente un’immagine tanto bella, quanto coesa. Un’immagine sintetizzata e sublimata dall’abbraccio tra capitan Xhaka e il ct, nella magica notte di Bucarest.
Per come è maturata la qualificazione all’Europeo - e cioè in enorme affanno - si ha insomma le sensazione di essere ripiombati nel 2019. Un periodo fatto di incomprensioni, sospetti e polemiche superficiali, all’epoca alimentate dalla stampa svizzerotedesca. A puntare per primi il dito contro Murat Yakin, nelle ultime settimane, sono invece stati i colleghi romandi. E a giusta ragione. Al netto dell’obiettivo raggiunto senza incassare una sconfitta una, l’attuale gestione della Svizzera non convince nel profondo, nelle scelte basilari. No, non trasmette serenità. E questo è un problema sia in ottica Euro 2024, sia ragionando su orizzonti più lontani. Il compito più importante, non a caso, spetta ora alla Federazione. Su tutti a Pierluigi Tami. «A dicembre discuteremo insieme del futuro» ha annunciato il direttore delle squadre nazionali, lasciando intendere l’esistenza di margini di manovra e contrattazione che - con un contratto rinnovatosi automaticamente - si faticano a scorgere. Questi spazi però andranno trovati. A maggior ragione a fronte dell'harakiri comunicativo degli scorsi giorni, con il presidente sceso in campo per difendere a spada tratta il mister. Ah, e per la cronaca Dominique Blanc aveva difeso pure la selezionatrice Inka Grings...
Qualora si optasse per la continuità, molto dipenderà dalla predisposizione e dall’intelligenza di Yakin. Il suo predecessore, lui sì inviso a una parte dell’ASF, comprese per tempo l’importanza delle relazioni, del dialogo e dell’ascolto, spostando in secondo piano il credo tattico e una certa sicumera. Murat sarebbe in grado di fare lo stesso? Di arretrare qualche metro per il bene della Svizzera e del suo sviluppo? È lecito dubitarlo, con tutti i rischi del caso per l’esito del secondo grande torneo del suo mandato. A rovinare il primo, dichiarò Yakin, fu sostanzialmente una serata no. All’umiliazione negli ottavi di Qatar 2022, detto altrimenti, contribuirono più le contingenze che il modo d’intendere la partita contro il Portogallo. Da allora, e lo abbiamo già scritto, qualcosa si è incrinato tra allenatore e leader. Ed è per questa ragione che fatichiamo a sognare altre notti indimenticabili. Altri abbracci.