Il commento

Cosa c'è dietro la parola «frociaggine» usata da papa Francesco

Dietro un linguaggio troppo esplicito, emerge la questione reale dell'ingresso in seminario dei gay
©Gregorio Borgia
Dario Campione
27.05.2024 20:00

Alcuni anni fa, lo storico Alessandro Barbero, celebrata star della divulgazione online e televisiva, ha curato un libro, di grande interesse, dedicato al linguaggio dei pontefici. «Le parole del Papa. Da Gregorio VII a Francesco» (Laterza, 2016) non è soltanto un’antologia di discorsi e scritti dei sovrani della Chiesa. Ma anche, e soprattutto, un excursus sul modo di comunicare dei successori di Pietro.

I Papi sono uomini, e come tali si comportano. Anche quando parlano. Francesco, spiega Barbero, è ad esempio «abituato a un linguaggio irrituale, soprattutto quando si esprime nella sua lingua natia, lo spagnolo d’Argentina». Irrituale e diretto. Qualche volta urticante. Certo, l’espressione «frociaggine» che Bergoglio avrebbe utilizzato qualche giorno fa, durante un’assemblea dei vescovi, al posto di omosessualità, sembra essere andata oltre. Va bene essere chiari, espliciti. Ma entro certi limiti.

È del tutto evidente che Francesco non maneggia l’italiano alla pari di un madrelingua, né conosce a fondo le sfumature dei dialetti e delle parlate regionali. Questo non giustifica la «frociaggine», ma ne attenua moltissimo la portata.

E tuttavia, almeno in questo caso, il problema è un altro. Ovvero la netta avversione che il Papa argentino dimostra di avere verso l’ingresso dei gay in seminario. Lo scorso mese di novembre, ad Assisi, la Conferenza Episcopale italiana ha approvato il nuovo regolamento sull’ammissione ai seminari, la «Ratio formationis sacerdotalis», un testo rimasto tutt'ora in stand-by, in attesa dell'approvazione della Santa Sede. Secondo i vescovi italiani, gli omosessuali dovrebbero poter accedere alla vita consacrata, a patto che le loro tendenze non siano «profondamente radicate», ovvero sappiano mantenere salda la disciplina del celibato.

Francesco, però, sembra pensarla diversamente. Per eliminare alla radice ogni situazione problematica, così la pensa il Papa, i gay dovrebbero stare fuori dai seminari. Una posizione forse troppo drastica, su cui è lecito discutere. Senza dimenticare, però, che proprio Bergoglio, in un incontro con la stampa di ritorno da un viaggio apostolico, scandalizzò molti dicendo: «Chi sono io per giudicare il comportamento di un omosessuale?».

«Le parole usate dai Papi sono importanti - scriveva nel suo libro Alessandro Barbero - tanto più in quanto il loro modo di parlare non è sempre lo stesso. Ovviamente varia a seconda del contesto. Ma soprattutto varia, in modo molto istruttivo, da un’epoca all’altra. Nei secoli le parole dei pontefici sono cambiate così profondamente che se un Papa utilizzasse oggi le stesse espressioni che erano normali non dico nel Medioevo, ma anche soltanto nell’Ottocento provocherebbe molto più sconcerto. Il linguaggio con cui il pastore della Chiesa di Roma si rivolge all’umanità nei momenti difficili è sempre stato espressione non solo della sua personalità individuale, ma del posto che la parola della Chiesa occupava nel mondo in quella data epoca».

La Chiesa «esiste da duemila anni - aggiungeva Barbero - e nel corso di questi due millenni ha prodotto innumerevoli parole». Frociaggine non è certo la migliore di queste parole. E non rimarrà scolpita nelle tavole della Legge. Possiamo dirlo senza che questo cambi il giudizio sull’uomo: Francesco poteva risparmiarsela. Sarebbe stato meglio.