Economie nel nuovo anno
La gran parte delle economie nel mondo ha mostrato sin qui un buon grado di resilienza. La crescita globale non ha grande velocità – ricordiamo che veniamo da pandemia e inflazione e abbiamo purtroppo guerre – ma c’è e ciò va registrato. La recessione internazionale non c’è stata, solo pochi Paesi hanno avuto il segno negativo per il PIL. Ora, la possibilità di rimanere saldamente in area crescita dipende in larga misura da quello che rimane l’ostacolo principale, cioè le tensioni geopolitiche. Le economie hanno quasi tutte mostrato, come sempre qualcuna di più e qualcuna di meno, comunque una capacità complessiva di tenuta. C’è la possibilità che la resilienza prosegua, a patto che la geopolitica negativa non si allarghi oltre ogni limite.
Secondo le previsioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), rese note all’inizio di questo mese, la crescita mondiale l’anno prossimo dovrebbe essere ancora di oltre il 3%, leggermente superiore a quella di quest’anno e dell’anno scorso. I commerci mondiali dovrebbero salire tra il 3% e il 4%. L’inflazione nelle maggiori aree economiche dovrebbe scendere ancora, verso l’obiettivo delle principali banche centrali, cioè il 2% in media annua. Considerando il difficile contesto, non sono brutte cifre. La Svizzera si sta difendendo egregiamente, con una crescita che per l’OCSE dovrebbe essere dell’1,5% nel 2025, dopo un 1,3% nel 2024. Con un 1,1% quest’anno e uno 0,9% il prossimo, l’inflazione elvetica è già nella fascia 0%-2%, obiettivo della Banca nazionale. Per un Paese che è già molto sviluppato, si tratta di numeri apprezzabili. In quasi tutte le maggiori aree, e in Svizzera più che altrove, il calo dell’inflazione ha portato inoltre a tagli dei tassi di interesse, fatto questo che pure supporta la crescita economica.
La guerra in Ucraina, il conflitto bellico in Medio Oriente, altri scontri armati nel mondo, certamente non aiutano la crescita complessiva. Un antico e diffuso luogo comune vuole che le guerre portino molti affari e dunque anche crescita. Ma non è così. Ci possono essere singoli settori, a partire da quello delle armi, che traggono benefici economici dai conflitti, questo sì. Tuttavia nel complesso nelle guerre prevalgono le distruzioni, anche economiche. E distruggere per poi dover ricostruire, spesso con grandi difficoltà, non genera certamente un percorso equilibrato di crescita economica. Bisogna anzitutto evitare le perdite umane, questo è chiaro, e poi anche le perdite economiche dovute alle guerre. È dunque necessario, anche da un punto di vista economico, che i conflitti bellici non soltanto non si allarghino ma si riducano e abbiano fine, con accordi che tengano conto di tutte le parti in causa.
C’è anche una geopolitica che fortunatamente non arriva ai conflitti bellici, ma che pure preoccupa per le possibili conseguenze in campo economico. Il risorgere di nazionalismi politici eccessivi porta con sé anche l’aumento dei protezionismi economici. Non è un mistero che il ritorno di Donald Trump alla presidenza USA comporti anche la possibilità, per sua stessa affermazione, che la guerra dei dazi abbia un ampliamento. Dazi soprattutto verso la Cina, ma pure verso altre aree, forse anche europee. Con le probabili risposte dei Paesi colpiti, basate sempre su dazi e barriere. Se così sarà, entrerà in scena un nuovo freno ai commerci mondiali, che in questo modo rallenteranno, insieme alla crescita internazionale. Inoltre, più si incrementeranno i dazi più ci saranno tensioni al rialzo sui prezzi, con il rischio che il calo dell’inflazione e dei tassi venga interrotto. Una parte degli esperti sostiene che quella di Trump è una tattica negoziale, che non sia sua vera intenzione ampliare molto i dazi. Vedremo, intanto vale la pena riaffermare che è sempre lo sviluppo del libero scambio, e non il protezionismo, a rafforzare nel tempo la crescita complessiva.