Il commento

Freud, il mostro e il santo

Nessuno può fare a meno di vedersela con la propria parte sommersa, di cercare un punto di equilibrio tra le bestie che ha dentro e il mondo che c’è fuori
La metafora freudiana più conosciuta è quella della nostra mente come un iceberg: la parte sommersa è l’inconscio, quella emersa il conscio.
Carlo Silini
23.11.2019 06:00

Quel poco (o tanto) che i più conoscono di Sigmund Freud (ne parliamo nel CorrierePiù di oggi) viene dall’immagine dell’iceberg, una rappresentazione della mente umana, vista come un blocco di ghiaccio nell’Oceano, di cui l’inconscio è la parte sommersa e il conscio è la punta emersa.

Colpisce che la parte sommersa sia molto più ingombrante di quella emersa. È l’intuizione più scioccante del pensatore austriaco. Utilizzando i fari della mente conscia (ragionamento logico, pensiero e azioni volontarie) ci illudiamo di conoscere perfettamente noi stessi e di controllare il mondo in cui viviamo. Ma un’importante porzione di quello che siamo è sepolto in un universo interiore fatto di costellazioni che non rispondono ai criteri della logica: azioni involontarie, pensieri automatici, memoria inconscia, emozioni, creatività, fantasie, sogni, istinti, impulsi.

Il paragone con il cosmo non è casuale. Le dottrine di Freud sono l’altra faccia di quelle cosmologiche del Seicento, quando gli studiosi delle stelle ci hanno spiegato che il mondo non era al centro dell’universo. L’uomo ha capito di essere un granello di polvere che vive assieme a moltissimi granelli di polvere (gli altri uomini) su un granello di polvere più grande (la Terra) che vortica nel cielo infinito. Vertiginosa consapevolezza di non essere al centro di tutto, ma solo puntini fra miliardi di altri puntini periferici del creato.

Dopo quasi un secolo di innamoramento collettivo della cultura occidentale per la psicanalisi, si è cominciato a dire che Freud era morto e le sue idee erano farlocche, favole, come Cappuccetto Rosso o Babbo Natale

Con Freud ecco la nemesi: siamo, sì, “insignificanti” micro particelle del tutto, ma dentro ognuno di questi pulviscoli che siamo c’è un universo non meno profondo e animato. Galassie che sfuggono al filtro dei radar razionali. Non ci fosse stato Sigmund, forse non ce ne saremmo accorti, o ne avremmo avuta una percezione confusa, impossibile da inquadrare in una lettura scientifica della realtà. E, infatti, dopo quasi un secolo di innamoramento collettivo della cultura occidentale per la psicanalisi, si è cominciato a dire che Freud era morto e le sue idee erano farlocche, favole, come Cappuccetto Rosso o Babbo Natale.

Poi ci sono messi gli psicofarmaci che, con la loro efficacia e velocità d’uso (basta prendere la pastiglia), hanno indotto molti a ritenere inutili i lettini dell’analista, le ore e ore a prezzi non irrisori a parlar della madre e del padre, di fallimenti e manie e di molte altre cose imbarazzanti a uno sconosciuto seduto dietro la schiena. Interpretazione ingrata e un po’ ignorante, forse, ma piuttosto convincente, in un mondo che bada soprattutto alla rapidità del risultato.

Non è un caso che oggi la psicanalisi sia rimasta una disciplina minoritaria in un mare di altre proposte di psicoterapia, compresi i maestri di yoga, i ciarlatani che ti fanno le carte e i coatch aziendali (realtà che non vanno assolutamente equiparate fra di loro).

Ma l’eredità del maestro resta viva. L’idea dell’inconscio, per quanto indimostrabile, dovrebbe essere patrimonio dell’umanità. Immaginare che nella nostra parte sommersa, invisibile ai droni della coscienza, abitino pulsioni sessuali e aggressive, forze nascoste e meccanismi mentali in conflitto tra di loro, ci aiuta a capire che di base non siamo santi, né mostri. Ma a seconda di come elaboriamo il nostro vissuto potremmo diventare tutte e due le cose. In questo siamo tutti uguali: nessuno può fare a meno di vedersela con la propria parte sommersa, di cercare un punto di equilibrio tra le bestie che ha dentro e il mondo che c’è fuori. Né ignorare che nelle vicende psichiche, come scrive lo psichiatra Stefano Tugnoli, “c’è continuità tra presente e passato: quello che siamo non può mai prescindere da quello che siamo stati nelle nostre stagioni più lontane, da tutto ciò che è accaduto e da come lo abbiamo vissuto”.

Freud quindi non è scomparso, si è disciolto nelle mille discipline che magari ne utilizzano le intuizioni rielaborandole. Ma soprattutto ci è entrato dentro senza che ce ne rendessimo conto, quando per esempio parliamo di complesso di inferiorità o di superiorità, di Edipo irrisolto, eccetera: tutta farina del suo sacco. In fondo anche lui è nel nostro inconscio, come è giusto che sia, e scommettiamo che ci si trovi benissimo.