Gli USA di Trump dall’idealismo all’entropia
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Dal novembre passato mi sono chiesto, come molti, quali sarebbero stati i cambiamenti nella politica americana e quali indirizzi li avrebbero plasmati. Essendo abituato, da un secolo di politica statunitense, a chiare motivazioni ideali, pur spesso disattese nell’esecuzione, avrei trovato comodo disporre di una bussola per organizzare i miei pensieri sul ritmo frenetico delle decisioni conseguenti a centinaia di dichiarazioni e di ordini esecutivi di Trump. I ritmi tradizionali dei processi legislativi e della diplomazia sono sconvolti, persino le corti di giustizia americane faticano a frenare decisioni che, a prima vista, sembrano in contrasto con la costituzione americana, o almeno con prassi consolidate.
Il ritmo delle decisioni trumpiane è comprensibile. Il presidente teme di non avere molto tempo. Tra ventuno mesi le elezioni di midterm rinnoveranno la Camera dei Rappresentanti e un terzo del Senato. Per tradizione, il partito del presidente perde seggi in questa occasione. Le piccole maggioranze delle quali Trump dispone nei due rami del Parlamento sono pertanto in bilico, nonostante la sua crescente popolarità nei sondaggi in queste settimane. La crescente popolarità di Trump credo sia dovuta alla convinzione di molti suoi concittadini che gli Stati Uniti necessitano di un cambiamento di rotta.
Per due secoli il tema profondo della politica americana è stato il desiderio, espresso dal presidente Monroe, di evitare interferenze esterne e concentrare la propria attenzione sull’emisfero occidentale. Questa politica è stata accantonata un secolo fa dall’idealismo di Wilson, seguito poi da un crescente interventismo in politica internazionale, frenato da tendenze neo-isolazioniste occasionali. Il risultato, negli ultimi ottanta anni, è stato che il reddito nazionale americano è passato da metà a un sesto del reddito mondiale. Pur essendo un reddito sufficiente per assicurare un elevato tenore di vita agli Americani, questa ricchezza non è più sufficiente per fronteggiare i numerosi impegni internazionali presi dagli Stati Uniti. Una ritirata globale immediata è però impensabile, perché aprirebbe varchi pericolosi ai numerosi nemici odierni.
In questa situazione difficile per gli USA è problematico fissare chiari obbiettivi. Anzi, potrebbe essere controproducente, indicando agli avversari le priorità da ostacolare. Trump pensa di avere più possibilità creando un polverone, che disorienta amici e nemici e aumenta l’entropia del sistema. In questo è agevolato dalla profonda impreparazione di molti suoi sostenitori, pronti a sostenere qualsiasi cosa dica. Molte delle iniziative del governo americano verranno abbandonate perché illegali o controproducenti, ma se compiacciono i sostenitori di Trump o disorientano le controparti nei negoziati, sono pur sempre utili. Credo pertanto che sia inutile cercare schemi generali nelle azioni di Trump. Sembra quasi che l’immobiliarista newyorkese abbia preso come riferimento il celebre detto di Mao: grande è la confusione sotto il sole. La situazione è eccellente.