Il commento

Gli USA, il mercato e il libero scambio

Gli Stati Uniti sono una delle patrie principali del pensiero e dell’azione legati all’economia di mercato
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
27.07.2024 06:00

Gli Stati Uniti sono una delle patrie principali del pensiero e dell’azione legati all’economia di mercato. Il loro ruolo se lo sono guadagnato sul campo nel corso del tempo, diventando e rimanendo la maggior singola economia a livello mondiale. Ma in questi primi due decenni del ventunesimo secolo l’attaccamento ad alcuni principi di base del mercato negli USA ha progressivamente subito un’erosione. In Occidente le maggiori critiche su una non sufficiente presenza di un’economia realmente di mercato vengono in genere rivolte all’Europa, in alcuni casi con ragione. Tuttavia, se da un lato è giusto segnalare quando ci sono Paesi europei che si allontanano troppo da quei principi di mercato che hanno consentito un ampio sviluppo economico, dall’altro è altrettanto giusto porsi la domanda su cosa sta accadendo negli USA da questo punto di vista.

L’occasione è data dalle elezioni presidenziali di novembre e dalle campagne dei candidati. Il Partito repubblicano è storicamente più vicino ai principi di mercato, il Partito democratico è da sempre o quasi più attento ad alcune tematiche sociali, pur rimanendo in un quadro di democrazia liberale. Ma i candidati di entrambe le parti, anche partendo da posizioni diverse, ora si dimenticano sempre più spesso di aspetti non secondari del mercato e del libero scambio. D’altronde, ciò si era già visto in altre elezioni e segnatamente nelle presidenziali di otto e di quattro anni fa.

Donald Trump è su alcuni punti talmente lontano dalle posizioni storiche dello schieramento che lo sostiene da suscitare un quesito: è lui ad esser diventato repubblicano o sono i repubblicani ad esser diventati trumpiani? Le due cose non si equivalgono, se si considerano ad esempio l’accanimento di Trump nelle guerre internazionali dei dazi (contro la Cina, ma anche contro altri, Europa inclusa) o il suo scarso interesse per lo sviluppo o almeno il mantenimento di un adeguato livello di concorrenza economica sul piano interno (è azzeccata la definizione di un Trump pro-business ma spesso non pro-market). Quanto alla tendenza trumpiana verso un maggior isolazionismo politico, occorre ricordare che furono due repubblicani – Henry Kissinger e Richard Nixon – gli autori di una linea ben diversa di apertura diplomatica, quella per intenderci della diplomazia del ping pong, che avvicinò Pechino e accentuò la divisione tra la Cina e l’allora Unione Sovietica, a vantaggio dell’Occidente.

Si può obiettare che dazi e isolazionismo si sono già visti in passato negli USA, ad opera talvolta di democratici e talvolta di repubblicani. Ciò è vero, ma bisogna aggiungere che la tendenza di fondo sino all’inizio di questi anni Duemila è stata il ricrearsi poi di aperture economiche e di diplomazie politiche. In quest’ultimo decennio, in particolare, si è visto invece un capovolgimento: la chiusura tende a diventare regola e le aperture tendono ad essere temporanee. E qui siamo anche al versante democratico, con il presidente uscente Joe Biden e la sua vice e quasi certa candidata Kamala Harris, che al di là di alcune sfaccettature hanno le stesse posizioni di fondo. Dopo le estremizzazioni di Trump era auspicabile che diminuissero le misure protezionistiche USA, ma questo è avvenuto solo in parte. Biden non è stato aggressivo come Trump, ma parecchi dazi sono rimasti e non c’è stata comunque una forte iniziativa USA per la ripresa dello sviluppo del libero scambio nel mondo.

Negli Stati Uniti la crescita economica è buona, l’inflazione sta calando, la disoccupazione sta leggermente salendo ma resta contenuta. Nonostante i regressi sui principi, gli USA sono ancora un’ampia economia di mercato e i riflessi positivi si vedono. Senza i passi indietro sui principi, peraltro, le cose potrebbero andare ancor meglio. Occorre comunque interrogarsi sul doppio deficit USA: commerciale e pubblico. Il primo è legato al prevalere dell’import sull’export e resta rilevante, a conferma del fatto che dazi e protezionismo non risolvono e che bisogna invece puntare sulle esportazioni più competitive. Il secondo è legato al disequilibrio tra uscite ed entrate pubbliche, oltre che al livello molto alto del debito pubblico. Sia Trump sia Biden hanno lasciato in secondo piano questo largo doppio deficit, che nel lungo periodo può diventare un serio problema. Ciò d’altronde fa il paio con l’erosione dei principi di mercato e libero scambio. Chi andrà alla Casa Bianca dovrebbe rivedere almeno in parte gli assetti della linea economica che è venuta formandosi. Le probabilità che ciò avvenga purtroppo non sono molte. Ma la realtà è tenace e sperare non costa.