L’opera che vorrei

Golconde di Magritte

La rubrica di Salvatore Maria Fares
René Magritte «Golconde» - Olio su tela 83x100 cm - 1953 - Menil Collection, Houston  © ProLitteris
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
07.04.2021 06:00

Quest’opera di Magritte dovrebbe fare riflettere su come la società negli ultimi trenta anni sia andata verso una massificazione anche agiata che, nei Paesi più rassicurati da una buona condizione economica, ha prodotto anche monotonia e eguaglianze comportamentali, che portano all’anonimato di massa. Viviamo in una costante seppur variabile massificazione. Oggi siamo massificati dai social, dalla Rete della quale siamo piacevolmente prigionieri quando è utile. Questo celebre quadro di Magritte raffigura un prototipo replicato in tanti altri, ognuno isolato, ognuno solo, tutti con lo stesso abito, sospesi nell’ indefinito in cui sembrano immobili.

Senza la pandemia la vedevamo ogni giorno questa allegoria, soprattutto ogni sera di week end, anche se con abiti diversi. Innumerevoli persone sole immerse fra i propri simili. Si immergono tutti nei loro replicati: stessi luoghi, stessi gesti, stesse abitudini, stesse speranze, come quella di trovare qualcuno non «perso per i fatti suoi». Estranei ad estranei, appoggiati ai banconi dei bar o ai tavoli sommersi nella musica che impedisce ogni dialogo, ogni scambio, senza trasporti se non quello della voce alta, percossi dalla musica alta che ormai costituisce la peggiore delle abitudini alle quali si sottopongono o sono costretti quelli che affollano i bar alla moda, i caffè degli incontri, i santuari dell’evasione. Tutti quasi uguali, tutti schiacciati a percuotere il fegato con alcool o beveraggi esotici, sorrisi sospesi, occhiate scaltre o spente, nel rito delle attese dei riti imminenti. Non si parlano i replicati, perché non si ascoltano; si guardano in giro spesso naufraghi dell’anonimato; la folla li rende protagonisti, basta esserci. Scrutano continuamente il cellulare.

È l’abitudine del nostro tempo per socializzare nel precario. Poi ognuno torna all’anonimato. Nei caffè di tendenza ci vanno tanti, migliaia di «ragazzi» fra i diciotto e i quaranta anni. Tutti pronti alla serata diversa che alla fine è un trionfo della scontata ripetitività che rassicura.

Magritte pensava ad altre ragioni della solitudine massificata in cui si perde il senso dell’individualismo. «Siam tutti figli della stessa madre accinti tutti alla stessa opera» dicevano i membri di antiche corporazioni esoteriche alla ricerca della buona civiltà del vivere e del convivere fra esseri umani. Ammiratore di De Chirico, Magritte entra come lui in una metafisica che scivola sulle piazze o in ampi spazi. Si muoverà sempre fra psicanalisi, simbolismo ed ermetismo. Qui le figure immobili replicate, senza le donne, sottolineano il movimento nella routine ed ecco Magritte entrare con tratti nitidi nella sottile ironia del grottesco. Come oggi tutti replicanti di un modo di vivere. Passano col telefonino all’orecchio. Siedono col telefonico all’orecchio. Mangiano col telefonino sul tavolo. Si addormentano col telefonino sul comodino. Si svegliano e guardano il telefonino prima di guardare oltre i vetri alla ricerca del sole. Si vestono accanto al telefonino. Aspettano continuamente lo squillo. È quello il loro mare.