Il commento

Ha ragione Aurelio De Laurentiis nel dire che la Serie A ha un problema?

Il presidente del Napoli si è scagliato contro la gestione, a suo dire pessima, dei diritti tv – Ma la questione, in realtà, è più profonda
Marcello Pelizzari
21.09.2024 21:43

Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, raramente usa giri di parole. È un tipo diretto. Anche se non sempre ci azzecca, verrebbe da dire. Negli scorsi giorni, ad esempio, l'uomo forte del club partenopeo si è scagliato contro la gestione, a suo dire fallimentare, dei diritti televisivi della Serie A italiana. Giusto, finanche sacrosanto se pensiamo, da un lato, agli ascolti tutto fuorché confortanti registrati sin qui da DAZN e, dall'altro, all'assenza di accordi in alcuni mercati esteri.

Un passaggio del De Laurentiis pensiero, tuttavia, rischia di prestare il fianco a ragionamenti pericolosi. Lo citiamo in toto: «Quando sento dire che l'UEFA sta per varare dei bandi relativi ai diritti tv delle stagioni 2027-2030 e 2030-2033, penso che noi in cecità totale abbiamo dato alle nostre piattaforme locali i diritti fino al 2029. Ciò vuole dire che quando nei prossimi mesi i signori dell'UEFA avranno fatto bingo licenziando i propri diritti per ben due trienni, non ci saranno più possibilità di sovvenzionare il calcio italiano. Significa che quelle 6-7 squadre che potranno partecipare ai tornei europei forse riusciranno a sopravvivere, tutte le altre moriranno in un solo colpo». Certo, De Laurentiis intendeva arrivare, con il suo ragionamento, a un doppio, importante concetto. Ovvero, che i club dovrebbero auto-prodursi e auto-distribuirsi a livello televisivo. Eppure, qualcosa non torna. Soprattutto perché De Laurentiis, di fatto, è un imprenditore. E favorire la tesi secondo cui la televisione sia, sostanzialmente, il solo modo per sovvenzionare il calcio italiano è tanto sbagliato quanto fuorviante, al netto dell'importanza, crescente, dei diritti tv per il cosiddetto ecosistema.

Ma il punto, in fondo, è proprio questo. Riuscire a spezzare, sempre che sia possibile, il legame morboso fra club e televisioni, piattaforme comprese. Un legame che ha creato e continua a creare storture, evidenti perfino in campionati a suo tempo citati come modello: la Premier League. Storture legate alla gestione, malsana, dei club stessi, incapaci di sfruttare i soldi di diritti tv per fare davvero sistema e crescere. E incapaci, ora che le cifre in generale si sono abbassate, di ripartire dalle basi. Come i vivai o una Lega, finalmente, compatta. 

In mezzo, vittime ma fino a un certo punto, ci sono i tifosi. Che, con un pizzico di nostalgia per dirla con il collega Luca Sciarini, reclamano un campionato meno spezzettato e, volendo includere l'Europa, meno partite. Ma che, senza un minimo di coerenza e oseremmo dire dignità, al contempo accumulano abbonamenti come fossero figurine da collezionare. Senza rendersi conto della spesa, anche perché per ogni disdetta c'è sempre, puntuale, una controfferta. Blue Sport, in Svizzera, ha appena rivisto al ribasso i prezzi: chi volesse abbonarsi oggi può farlo a «soli» 19 franchi e 90 centesimi da qui ai prossimi sei mesi. La medesima strategia è stata adottata da DAZN in Italia, in vista del derby di Milano ma anche per recuperare chi ha perso per strada nei mesi scorsi in seguito al sensibile (e criticato) aumento del proprio pacchetto. Se all'equazione aggiungiamo il caro biglietti, problematico soprattutto negli stadi delle big, complice la clientela (facoltosa) in arrivo dall'estero, la frittata è bella che fatta. E il De Laurentiis della situazione, alla fine, finisce per assomigliare al Gordon Gekko di Wall Street, il re del chiagne e fotte per antonomasia.