I BRICS inquadrati con il giusto equilibrio
Sul gruppo dei BRICS si stanno concentrando attese per alcuni aspetti esagerate. Si tratta di una compagine che ha un suo spessore, ma che non può da sola cambiare le sorti dell’intera economia mondiale. Vedremo quali posizioni emergeranno nel vertice BRICS che si terrà a Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre prossimi. Sarà un summit da seguire, soprattutto per i suoi risvolti nel breve e medio periodo. Tuttavia ciò che già ora si può dire è che, al di là di annunci ad effetto che forse saranno fatti, appare difficile che il gruppo possa davvero ribaltare con la sua sola azione gli assetti globali.
Ci sono ragioni sia economiche sia politiche, o geopolitiche, che inducono a ritenere che i BRICS siano in parte sopravvalutati. Cominciamo dalle prime, ricordando il perimetro del gruppo. La sigla originaria, BRIC, fu suggerita nel 2001 dall’economista britannico Jim O’Neill, accomunando Brasile, Russia, India, Cina. In seguito la compagine divenne BRICS, inglobando il Sudafrica. Più recentemente, il gruppo BRICS è passato da 5 a 10 membri, con l’aggiunta di Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran.
Considerando l’attuale BRICS10 e prendendo le previsioni del Fondo monetario internazionale (FMI) sul Prodotto interno lordo (PIL) nel 2024, si può vedere quale sia il peso del gruppo sull’economia mondiale. Se si guarda al PIL nominale in dollari USA, i dieci Paesi hanno una quota di circa il 26%. Naturalmente nel gruppo la parte del leone la fa la Cina, seguita a distanza dall’India, seconda. La quota BRICS è di rilievo e mostra i passi avanti fatti dagli Emergenti, ma è ancora molto lontana da quella dei Paesi raggruppati nel G7 (USA, Germania, Giappone, Regno Unito, Francia, Italia, Canada). Questi ultimi rappresentano nel complesso circa il 44% del PIL mondiale.
Una delle obiezioni dei sostenitori dei BRICS è che occorre guardare al PIL a parità di potere d’acquisto. In questo caso ovviamente le percentuali si spostano. Il BRICS10 ha circa il 36%, mentre il G7 ha circa il 29%. A parte la questione dell’opportunità di adottare questa seconda versione del PIL, si può segnalare comunque che se alle sette maggiori si aggiungono le altre principali economie di mercato di stampo occidentale, ebbene il 36% è raggiunto e superato. Al di là delle disquisizioni sul tipo di PIL, resta in ogni caso il fatto che è difficile immaginare una crescita globale in cui il ruolo di guida sia esclusivamente del gruppo BRICS.
A tutto ciò occorre aggiungere il nodo degli assetti geopolitici. All’interno del BRICS10 ci sono tre Paesi – la Cina, la Russia, l’Iran - che sono schierati decisamente contro gli Stati Uniti e più in generale contro l’Occidente (che include come idea Nord America ed Europa, certo, ma anche Paesi democratici di altri continenti). Poi ci sono altri tre Paesi – il Brasile, l’India, il Sudafrica – che sono sicuramente interessati ad ampliare la loro autonomia ma che non hanno intenzione di rompere con l’Occidente. Infine ci sono quattro Paesi – l’Arabia, l’Egitto, gli Emirati, l’Etiopia – che per molti aspetti sono lontani dall’Occidente ma che al tempo stesso mantengono legami con quest’ultimo.
La compagine BRICS quindi è tutt’altro che omogenea sul versante geopolitico. È possibile che la volontà di limitare l’egemonia economica degli Stati Uniti e dell’Occidente continui a fare da collante per gli attuali membri del gruppo e per altri che dovessero aggiungersi. Ma è più che lecito dubitare della compattezza di fondo dei Paesi BRICS, in particolare nel caso vi fosse la necessità di schierarsi nettamente da una parte o dall’altra. I collegamenti con l’Occidente sono tanti e lasciano immaginare, al di là della voce grossa fatta in alcuni periodi, una serie di accordi più in là con i Paesi più sviluppati, soprattutto economici, piuttosto che una conflittualità permanente e senza vantaggi.