Il commento

I conti di fine d'anno

La Germania è in pesante crisi, la Francia sta ancora peggio – Dei tre importanti Paesi confinanti con noi l’unico che ha un governo stabile è l’Italia
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
27.12.2024 06:00

In dicembre si è soliti tirare le somme, tanto quelle per le vicende personali, quanto quelle relative agli spicchi di mondo che ci interessano. Quest’anno non vi è da stare allegri, basta guardare alle nazioni a noi vicine e vi è pure di peggio.

La Germania è in pesante crisi, la Volkswagen, società semistatale, da sempre vessillo dell’industria automobilistica germanica (e la numero due al mondo) e in genere dell’attività industriale nel Paese chiude tre fabbriche e si parla di oltre 15.000 licenziamenti. Ciò si riflette sui fornitori della componentistica. La Bosch annuncia 5.500 licenziamenti, deve tagliare i costi di 5 miliardi di euro e pensa di chiudere alcune fabbriche. Cito due esempi indicativi ma allarmanti notizie arrivano da altre aziende anche medie. Si parla delle difficoltà dovute al notevole aumento dei prezzi dell’energia, ma qualche ulteriore riflessione andrebbe fatta confrontandosi con la concorrenza internazionale. La Volkswagen con 684.000 collaboratori produce annualmente 9,2 milioni di auto, la giapponese Toyota con 375.000 dipendenti ne produce 10,3 milioni. Ciò dovrebbe essere fonte di preoccupazione e far capire perché importanti industrie germaniche spostano parte della produzione in Polonia.

I fatti economici sono spesso condizionati dalle decisioni della politica. In sedici anni di apparente tranquillità ma sostanziale stagnazione con la Signora Merkel, con la sciagurata decisione di abbandonare il nucleare e altre misure energetiche tipo la «Heizungsgesetz» (legge sul riscaldamento) del governo Scholz talmente insensata che si pensa di annullarla, con apertura indiscriminata e senza limite all’immigrazione irregolare, con negligenze che hanno portato ad una rete ferroviaria acciaccata ed inaffidabile, la politica ha certo influito sul processo di deindustrializzazione. Alla cancelliera Merkel è succeduto nel 2021 Olaf Scholz, personaggio mediocre che si è alleato con i Verdi per politiche nelle quali costosi sogni pensano di sostituirsi alla realtà. I disastri sono noti e pesano sui bilanci delle famiglie. Risultato: il governo è stato sfiduciato dal Parlamento.

La Francia sta ancora peggio. Il deficit del 2024 sarà pari al 6% del PIL, con un indebitamento totale del 112%. Il giudizio dei mercati è negativo ed i tassi applicati per le obbligazioni francesi hanno persino momentaneamente superato quelli relativi al debito greco. Se ben ricordo è dal 1974 (Giscard d’Estaing e Raymond Barre) che la Francia non chiude più i conti annuali in pareggio. Il Paese viene elogiato per la competenza dell’amministrazione pubblica e l’eccellenza dei suoi superburocrati prodotti dalla grande scuola di amministrazione ENA. Purtroppo il continuo sviluppo della burocrazia ha creato una realtà nella quale è difficile e costoso operare. Il codice del lavoro credo abbia più di 3.000 pagine. Si dimentica che, per efficiente che sia, un’amministrazione statale (con il conseguente sviluppo dello statalismo) non crea ricchezza, anzi semmai costa. La fonte della ricchezza è l’economia privata che ovviamente più è ostacolata da regole, talvolta insensate, e meno può produrre. Alla testa del Paese, dopo il fallimento dei due partiti che nel passato si erano avvicendati al potere (gollisti e socialisti), vi è un colto e competente tecnocrate che con l’arroganza del tecnocrate è fallito. La Francia è praticamente senza governo, con il succedersi di primi ministri privi di maggioranza. Ha perso nel contesto internazionale autorevolezza e prestigio.

Dei tre importanti Paesi confinanti con noi l’unico che ha un governo stabile è l’Italia. Un governo che si è dovuto accollare un’eredità fallimentare dai predecessori, i quali in un Paese che già aveva il terzo debito pubblico al mondo hanno deliberato il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) grazie al quale l’Italia ha ricevuto una barcata di miliardi dall’UE forse dimenticando che una parte andrà restituita e deliberato un super bonus edilizio costato 220 miliardi di euro. La logica dei predecessori era moltiplicare gli «investimenti» pubblici: gli investimenti sono tali perché producono un ritorno e questo molto spesso le opere pubbliche, decise sulla base di criteri legati al consenso e non alla necessità, non lo fanno. La situazione del debito pubblico di 3.000 miliardi pari al 130% del PIL è il pesante risultato delle politiche passate. L’atmosfera è resa più greve da sindacati il cui scopo sembra essere quello di far cadere il governo e che trovano appoggio in qualche magistrato impegnato a contestare le delibere governative. Un quadro con problemi di difficilissima soluzione, aggravato da pericolose lacerazioni e conflittualità.

Per la preoccupante situazione economica e sociale nella quale si trovano i tre Paesi vi è un rimedio? Visti i disastri combinati dalle politiche attuate nei decenni passati la ricetta sembrerebbe apparentemente molto facile. Basta cambiare politica e facilitare chi crea ricchezza controllando tra l’altro severamente le fonti statali del debito. Apparentemente facile la ricetta, purtroppo difficilissima l’applicazione. Si dovrebbe poter contare su politici competenti, dotati di ingegno, coraggio e capacità di persuasione che permettano loro di individuare e percorrere altre strade. È meglio non farsi illusioni.