Il commento

I disavanzi, i debiti e il buon senso

Indebitamento: la campagna presidenziale statunitense ha quasi ignorato la questione
Carlo Rezzonico
Carlo Rezzonico
07.09.2024 06:00

La circostanza che l’indebitamento gravante su enti pubblici, aziende e privati in quasi tutto il mondo costituisce un pericolo serio preoccupa tutti o quasi tutti gli economisti. Desidero soffermarmi con questo articolo su alcuni aspetti particolari della questione.

Gli Stati Uniti hanno debiti pari al 122,30% del prodotto interno lordo di un anno. Il disavanzo del 2023 fu del 6,3%. Nessuno pensa che lo Stato americano possa diventare insolvente, ma se avvenisse un peggioramento non mancherebbero conseguenze importanti. Il 54% del commercio mondiale viene svolto in dollari e il 58% delle riserve in divise delle banche centrali è tenuto pure in dollari. Qualora le condizioni finanziarie degli Stati Uniti si deteriorassero ulteriormente il dollaro perderebbe l’attitudine a svolgere queste funzioni, che sono utilissime per l’economia mondiale. Il problema potrebbe diventare acuto in quanto non esiste attualmente un’altra moneta in grado di sostituire quella americana. Una situazione migliore non presenta il Vecchio Continente, dove la Commissione europea ha avviato un procedimento per disavanzo eccessivo nei confronti delle nazioni meno disciplinate, tra le quali figurano paesi importanti come la Francia e l’Italia. Oltre ai livelli altissimi dei disavanzi e dei debiti destano inquietudine costruzioni che celano una parte degli impegni o li rendono difficilmente comprensibili. A questo proposito vale la pena di riassumere, a titolo di esempio, quanto è stato fatto per far fronte alle conseguenze finanziarie del Covid. L’Unione europea ha deciso di presentarsi per la prima volta sul mercato dei capitali chiedendo un massimo di 750 miliardi di euro. Questi soldi sono serviti o serviranno per concedere ai paesi membri in parte crediti e in parte donazioni. È previsto che per i rimborsi e il pagamento degli interessi concernenti il prestito assunto sul mercato dei capitali si dovranno reperire fondi dai paesi membri. Tuttavia già oggi si profilano resistenze. Qui, tra l’altro, appare un difetto di costruzione dell’Unione europea: questa non è uno Stato avente il diritto di riscuotere imposte per far fronte ai propri impegni ma una organizzazione che dipende dalla volontà e capacità di pagare dei paesi membri. In ogni caso, poiché il servizio del debito dev’essere effettuato per tutto il prestito assunto sul mercato dei capitali, i con-tributi dei paesi membri devono coprire non solo i fondi distribuiti a titolo di credito ma anche quelli assegnati come donazioni. Pertanto tali fondi non costituiscono affatto donazioni bensì debiti in altra forma, che andrebbero considerati nel calcolo dell’indebitamento degli Stati.

La via d’uscita da questo intrico consisterà probabilmente nell’emettere un nuovo prestito sul mercato dei capitali per far fronte agli impegni assunti con il prestito precedente. Dunque: rimborsare debiti facendone altri. Purtroppo nelle nazioni fortemente indebitate non si nota una chiara volontà di correre ai ripari. La campagna per la designazione del presidente degli Stati Uniti ha quasi ignorato la questione dell’indebitamento. Anzi entrambi i candidati hanno presentato programmi che comportano forti spese. Purtroppo i tagli al bilancio sono impopolari e il mondo politico cerca di evitarli. Restano allora queste due possibilità: la prima consiste in una ristrutturazione dei debiti con perdite per i creditori, causando sconvolgimenti sui mercati dei capitali, la seconda in una politica monetaria larghissima per facilitare l’assunzione di prestiti destinati al servizio dei prestiti precedenti, causando forte inflazione. Nel secondo caso nasce poi la tentazione, per calmare il malcontento popolare, di istituire controlli dei prezzi. La Harris ha già annunciato l’intenzione di addentrarsi in questo campo; che poi, quando i prezzi sono tenuti artificialmente bassi, i beni e i servizi scarseggiano e nessuno trova conveniente creare nuove aziende in grado di correggere lo squilibrio, non sembra suscitare apprensione. Tutto sommato il buon senso suggerirebbe che una politica di riduzione dei disavanzi e dei debiti, benché imponga sacrifici, sarebbe l’unica capace di addurre a risultati soddisfacenti. Ma bisognerebbe convincere popoli e politici.