Il commento

I fatti francesi e la grave crisi politica

Se i programmi economici del RN preoccupavano per l’impreparazione, quelli di Mélenchon porterebbero la super indebitata Francia al fallimento
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
12.07.2024 06:00

Stupore, preoccupazione, sorpresa, sono i sentimenti che si sono manifestati sia in patria che nel mondo per i risultati delle recenti elezioni in Francia. Secondo una mia lettura la sorpresa per la crisi e una difficile governabilità sono fuori posto o è la conseguenza di una disattenzione durata anni. La Francia è rinata con il generale De Gaulle, senza dimenticare Schuman e per le finanze Pinay. Ma anche più tardi politici di alto livello quali Giscard d’Estaing, Raymond Barre, o per i socialisti Mitterrand, Rocard, Delors hanno gestito con competenza. Purtroppo il declino è arrivato con un Sarkozy roso da una sfrenata ambizione, avido di potere e soldi, condannato dai tribunali francesi. La rovina del gaullismo e alleati è stata completata da un Fillon, ex Primo ministro e candidato alla presidenza, talmente meschino da truffare per far avere alla moglie alcune centinaia di migliaia di euro, millantando una funzione da lei mai esercitata. Anche lui condannato. Sul fronte socialista basta un quadro per dimostrarne la mediocrità. Quello di un Hollande, Presidente della Repubblica, che sul seggiolino posteriore di una motoretta e coperto dal casco, porta di prima mattina i croissant all’amante. Il n’y a que le ridicule qui tue. Oltretutto in un Paese di larga manica per la galanteria dei politici. Mitterrand aveva due famiglie e la fama di gran seduttore. Ma non era certo l’unico. Raymond Barre mi raccontò come, nominato Primo Ministro, venne approcciato dal Capo di Gabinetto che discretamente gli chiese i desideri per l’appartamento per la siesta. Fortunatamente ebbe un intuito che gli permise di capire l’allusione e rispose che lui la siesta la faceva a casa sua. La classe dirigente francese, prevalentemente parigina, era stata messa in allarme con due libri di Christophe Guilluy, un intellettuale non certo di destra. Uno del 2015 «La France périphérique», l’altro del 2016 «Le crépuscule de la France d’en haut». Descrive la situazione della Francia periferica, quella dei bianchi disorientati e separati dalle periferie urbane destinate agli immigrati, mette in guardia per l’abisso ideologico e culturale che separa le classi popolari dai ceti dirigenti parigini e dai «bobos», i bohèmien-bourgeois. Sin d’allora prevede il voto a favore dell’FN, diventato RN (Rassemblement National) della Le Pen figlia, di parte di quella che lui definisce la «contre société». L’establishment parigino costituito da intellettuali di sinistra, consiglieri del principe alla Attali, grandi burocrati usciti dall’ENA (École Nationale d’Administration), gruppi di potere del mondo finanziario e industriale, alleati con giornali e televisioni, mondo dell’arte e della moda, il tutto in un sinistrismo da salotto, capisce che Hollande è finito. Con sottile abilità organizza una mossa gattopardesca, cambiare tutto affinché nulla cambi, e con una rivoluzione di Palazzo sostituisce il mediocre Hollande con l’intellettuale, un grande tecnocrate con ottima dialettica: Macron. Ma pochi anni bastano perché la mossa, che non aveva radici reali nel Paese, fallisca sempre per la mancata sensibilità per i problemi veri e pratici (vedi gilets jaunes) non capiti (o che non si è voluto capire) o non affrontati in modo realistico. Le elezioni europee dell’inizio giugno premiano l’opposizione, cioè il RN della Le Pen e di Bardella. Votanti impegnati a contestare il Presidente e il suo governo e indifferenti ad un’Unione Europea che poco interessa. Macron, indispettito e ferito nel suo orgoglio, con una manovra azzardata scioglie le camere, indice nuove elezioni. Al primo turno il RN ottiene un risultato strabiliante che, se confermato, gli permetterebbe di avere la maggioranza in Parlamento ed aspirare a governare il Paese. Reagendo a questa pesante sberla la notevole intelligenza tattica di Macron e la sua spregiudicatezza gli suggeriscono la strategia per arroccarsi al potere anche a costo di lacerare il Paese. Accusa gli oltre dieci milioni di elettori che avevano votato per la Le Pen di fascismo, riaprendo pericolose ferite dei tempi bui di Vichy, un periodo che la Francia ha evitato di decantare. L’accusa per la stragrande maggioranza di questi dieci milioni di cittadini che hanno altro per la testa e per un partito che condanna Hamas e sostiene l’Ucraina è pretestuosa, ma approfitta dell’ipoteca di un passato con un padre Le Pen, personaggio rozzo e dalle idee improponibili. Macron, spregiudicatamente, si allea con Mélenchon, comunista tutto d’un pezzo, e portatore di politiche che hanno portato gli Stati che le hanno conosciute al fallimento, dimenticando altre nefandezze. Se i programmi economici del RN preoccupavano per l’impreparazione, quelli di Mélenchon porterebbero la super indebitata Francia al fallimento. Conclusione: la sinistra di Mélenchon vince e chiede di poter governare. Affaire à suivre. La Francia, alla quale dobbiamo l’illuminismo e molto altro, si trova in una grave crisi, non ci resta che augurarle di trovare una classe politica diversa di quella al potere negli anni recenti che capisca che i problemi, quelli descritti da Guilluy, non si risolvono dimenticando la gente e disprezzando gli avversari.