Il commento

I messaggi di Draghi

Se fosse un medico , sarebbe un eccezionale diagnostico, ma preoccupa come terapeuta
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
20.09.2024 06:00

La Commissione si è rivolta all’autorevolezza e prestigio di Mario Draghi per avere uno studio sullo stato dell’UE. L’analisi è stata presentata dall’autore che ci trasmette una serie di messaggi, molti espliciti e qualcuno implicito. Quello più traumatizzante, anche se non sorprende, concerne lo stato disastroso nel quale si trova l’UE. Il rapporto con l’economia degli USA è umiliante, specie per la pesante perdita nel confronto degli ultimi 20 anni. Nel 2002 l’economia europea era pari all’87% di quella USA, oggi raggiunge appena il 70%. Il PIL degli abitanti dell’UE arriva solo ai 2/3 di quello degli americani. La comparazione ci dà il messaggio implicito: l’UE è stata gestita da politici e burocrati in modo disastroso, conseguenza anche dell’aver emanato tra il 2019 ed il 2024 13 mila leggi contro le 3.500 negli USA. È la responsabilità di commissioni e commissari orientati allo statalismo centralizzatore con l’impatto di esigenze irrealistiche e forzatamente ideologiche dell’estremismo verde.

Le riflessioni di Draghi invitano noi svizzeri a porci un interrogativo. Come mai insistiamo ad attaccare il nostro vagone, subendo le condizioni dell’UE, sapendo che il treno UE è in tali pessime condizioni, su binari poco sicuri e con il rischio di deragliare? Il nostro ministro degli Esteri e i collaboratori non saranno dei geni ma non sono talmente sciocchi da non conoscere la misera condizione dell’UE. Rappresentano con i loro atteggiamenti la politica della paura, mascherata e trafugata quale espressione di equilibrio e di conoscenza delle esigenze dell’attualità. Per timore delle rappresaglie – ne abbiamo già avute senza grande effetto – dei rancorosi burocrati di Bruxelles si arrendono preventivamente.

Che il quadro offerto dall’UE sia desolante lo sapevamo, ma oggi che «il re è nudo» lo afferma Draghi competente e non certo avverso alla costruzione europea. Il fallimento totale in materia di immigrazione, con conseguenze pesanti in molti Paesi, gli errori in materia e come è stata gestita la cosiddetta transizione ecologica, aderendo agli estremismi del commissario Frans Timmermans, socialista olandese. Una politica dimentica della realtà e della necessità di tempi di adeguamento per le vetture elettriche, che ha contribuito a mettere in ginocchio l’importante industria automobilistica europea. Altro punto debole la convinzione statalista di tutto regolare nei minimi dettagli nell’intento di mettere in ogni parte di Europa tutto sotto il manto protettivo ed egualitario dell’Autorità UE, ciò che porta a ostacolare anziché favorire lo spirito di iniziativa e la concorrenza. Se fosse un medico Draghi sarebbe un eccezionale diagnostico, ma preoccupa come terapeuta. Mentre l’aspetto del suo rapporto concernente l’esame e la valutazione del preoccupante stato attuale è fattuale e convincente la sua ricetta per il rilancio con la famosa cifra degli 800 miliardi di euro annui necessari convince meno. Il suo è l’approccio dell’eccezionale tecnocrate, con tutti i limiti della tecnocrazia che crede che un’autorità competente e i soldi necessari bastino per risolvere i problemi. Ovviamente spesso soldi dello Stato e perché no ulteriore indebitamento ipotecando risultati e generazioni futuri. Uno dei punti deboli dell’UE è la mortificazione della concorrenza dei sistemi, invece di permettere agli Stati più efficientemente amministrati di svilupparsi autonomamente, si cerca il livellamento verso il basso in modo da premiare gli inefficienti. Draghi punta giustamente sul valore dell’innovazione. Dimentica però che ci vogliono gli innovatori che non sono né i politici né i burocrati. Vuole imitare gli USA ma scorda che Bill Gates, Elon Musk, Jack Bezos, Mark Zuckerberg, Steve Jobs e migliaia di altri anche a titolo più modesto non sono mai stati impiegati dello Stato e sono partiti senza particolari aiuti statali.

Gli operatori nel campo dell’economia hanno una capacità di rischio che, giustamente, manca totalmente al burocrate. 800 miliardi non sono bruscolini, anche se ormai viviamo nell’era dei miliardi. Una raccolta a livello di UE potrebbe penalizzare certi Paesi e favorire l’inerzia e mala amministrazione di altri. Cadiamo nella politica di aiuto (spesso senza successo perché non è solo problema di soldi) per zone sottosviluppate. Il rilancio dell’Europa, che auspichiamo, non sta nell’aggiungere migliaia di miliardi ai già numerosi spesi (spesso male e inutilmente) ma nel ricreare un «humus», una realtà che favorisca l’espansione della ricchezza (che viene dal mondo economico e dai commerci) caratterizzato da meno leggi, meno burocrati e maggior libertà operativa. In una parola: cambiare politica. Per contro, Draghi per uscire dalla stagnazione propone l’aumento dell’intervento pubblico tramite imposizioni di politiche industriali e commerciali. L’Economist evoca lo spauracchio del dirigismo. Nel marzo 2000 a Lisbona il Consiglio europeo si prefiggeva per l’UE per il futuro decennio «di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo». Il risultato l’abbiamo sotto i nostri occhi. Proclami e studi permettono purtroppo di guadagnare tempo concedendo a politici e burocrati che si arroccano sul potere di continuare con gli stessi errori. Non illudiamoci, Bruxelles non cambierà politica e il declino continuerà.