I motivi del declino a più livelli dell'Europa
Il tentativo di derubricare l’avanzata del variegato arcipelago delle formazioni di destra nelle elezioni europee ad un semplice incidente di percorso è stato rovinato dalla sorprendente decisione del Presidente francese Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale e convocare i cittadini alle urne. Eppure i risultati segnalano una bocciatura della politica europea e mettono in crisi il suo motore franco-tedesco. Pochi infatti si sono avventurati a cercare di capire le cause del voto che possono essere riassunte in una parola: la crescente insicurezza. Essa ha molteplici ragioni che si addizionano e si moltiplicano: la perdita del potere d’acquisto e il conseguente impoverimento di larghi strati della popolazione, i flussi migratori, le crescenti minacce alla sicurezza personale, la paura di un futuro sempre più incerto e la certezza che le prossime generazioni vivranno in un contesto molto più difficile e «last but not least» la paura provocata dalla guerra ai confini dell’Europa. Tutti questi motivi possono essere sintetizzati in una crescente insofferenza nei confronti dell’attuale modello economico e sociale che non riesce ad offrire prospettive credibili e spesso combina pasticci come nel progetto «Green Deal» che non ha tenuto in alcuna considerazione i costi per i cittadini, per i contadini e i tempi necessari per permettere all’industria di passare alle automobili elettriche.
La sintesi di tutti questi fenomeni è che l’Europa è in declino. E come ogni declino non avviene da un giorno all’altro, ma si sviluppa nel corso del tempo in maniera quasi impercettibile per poi crescere in modo rapido e ben visibile. Due ricercatori del Consiglio europeo per gli affari esteri individuano l’inizio del declino europeo nella crisi finanziaria del 2008. Allora il PIL europeo era maggiore di quello americano. Quindici anni dopo la situazione si è rovesciata e l’economia americana è di 25mila miliardi di dollari, mentre quella europea (compresa la Gran Bretagna nel frattempo uscita dall’Unione) ammontava a 19,5 mila miliardi di dollari. Conseguentemente anche il PIL pro capite europeo (calcolato in base al potere d’acquisto) è inferiore di un terzo rispetto a quello americano. Secondo McKinsey Global Institute, pure gli investimenti privati sono in calo. Nel 2022 hanno investito il 60% in meno di quelle americane. Non sorprende quindi che pure l’aumento della produttività è molto più lento di quello statunitense. Questi dati usati a Bruxelles sono significativi, poiché confrontano due economie con abitudini di vita simili. Alcuni hanno contestato questo metodo per concentrarsi sul confronto a parità di potere d’acquisto. Come sempre è stato rivelato, l’uso di questo metodo esalta la forza dei Paesi emergenti, poiché gli stessi beni o quelli paragonabili costano molto meno. La Banca Mondiale, che per la sua missione ha condotto questi calcoli, nel suo ultimo International Comparison Programme giunge a sensazionali conclusioni: il PIL globale è maggiore di 7’000 miliardi di dollari di quello finora calcolato ed ammonta 174mila miliardi di dollari; l’economia cinese era l’anno scorso del 25% maggiore di quella statunitense (anche se il PIL pro capite resta inferiore a quello americano); l’India è già la terza economia del mondo e, infine, sorpresa delle sorprese l’economia russa è maggiore di quella giapponese. Questi dati danno un’indicazione dei progressi compiuti da alcuni Paesi del Sud Globale e soprattutto danno una misura dei rapidi cambiamenti geopolitici a livello mondiale. Di fronte ad essi l’Europa si mostra «nuda» ed incapace sia a livello economico sia a livello politico di sottarsi al rischio di irrilevanza. La conferma viene dai risultati che danno la possibilità di un rinnovo della maggioranza che ha condotto i giochi negli ultimi cinque anni a livello europee e, quindi, di una rielezione di Ursula von der Leyen alla testa della Commissione, mentre non c’è alcuna ipotesi di riforma del modello economico e sociale. Tutto questo ribadisce che l’Europa non è più protagonista e che è a rimorchio. Infatti il dibattito vero sul suo futuro comincerà forse solo dopo le prossime elezioni presidenziali statunitensi.