I passi falsi e il calvario di Maudet

di GIOVANNI GALLI - Mentre il cerchio politico e giudiziario si stringe attorno a Pierre Maudet per la vicenda del viaggio ad Abu Dhabi pagatogli da uno sceicco, resta una consolazione: che l'anno scorso il rampante politico ginevrino non sia stato eletto in Consiglio federale. Dopo quasi trent'anni dal «caso Kopp» saremmo di nuovo confrontati ad una crisi politica di rilievo nazionale. Con un Governo semiparalizzato e un «ministro degli Esteri» azzoppato in una fase cruciale delle trattative con l'UE. Con un Parlamento distratto dall'emergenza del momento e i partiti intenti a profilarsi a seconda delle convenienze. E con la stampa impegnata in attacchi e speculazioni sulla legittimità della permanenza in Governo di un suo membro prossimo a finire sotto inchiesta penale e che ha mentito pubblicamente, salvo scusarsi una volta preso in castagna. Fortunatamente per la Confederazione, il caso resta circoscritto al Canton Ginevra, dove sta comunque sollevando polemiche e interrogativi. Essendosi fatti le ossa con due crisi di governo nel giro di tre anni, i ticinesi possono guardare ai fatti di Ginevra con un certo disincanto. Nell'autunno del 2003, con una decisione senza precedenti, Patrizia Pesenti venne parzialmente esautorata dai colleghi per essersi messa di traverso sulla manovra finanziaria. Sanzionato elettoralmente (alle elezioni federali il PS guadagnò consensi), quello strappo impulsivo durò poche settimane, giusto il tempo di trovare un alibi per fare retromarcia. Ben più profonda fu la crisi che all'inizio del 2006 sfociò nell'esautorazione parziale di Marina Masoni, alla quale vennero tolte la Divisione delle contribuzioni e la responsabilità della politica tributaria fino al termine della legislatura, per il cosiddetto «fiscogate». Furono le elezioni cantonali del 2007 a chiudere il cerchio, con l'estromissione di Masoni dal Governo e l'ingresso di Laura Sadis. Per carità, problemi legati a singoli membri di un Esecutivo sono venuti alla luce anche in altri Cantoni. Il caso di Maudet però è molto più clamoroso. Lo è innanzitutto per le sue gravi implicazioni penali (assenti nei casi ticinesi). Lo è per la caratura del personaggio, «enfant prodige» della politica, protagonista di una brillante campagna per la successione di Didier Burkhalter in Consiglio federale e che a medio termine pareva destinato ad incarichi prestigiosi. Ancora non si capisce come un politico abile, navigato e consapevole delle insidie di una funzione di potere sia potuto scivolare su una buccia di banana. E come abbia cercato di difendersi in modo così maldestro, avendo alle calcagna la magistratura e la stampa, pronta a sbranarlo dopo essere stata la prima vittima della da lui stesso ammessa «nefasta spirale» di bugie sul vero sponsor del viaggio ad Abu Dhabi. Ma il caso è clamoroso anche per la situazione che si configura. La crisi è solo agli inizi. Si prospettano tempi giudiziari lunghi e soprattutto un confronto non facile fra Maudet e la magistratura, che in questa vicenda, come hanno rilevato alcuni osservatori, ha messo in gioco anche la sua credibilità. Il tono della nota con cui il Ministero pubblico la settimana scorsa ha comunicato la richiesta di autorizzazione a procedere al Parlamento non dà adito a dubbi sull'intenzione degli inquirenti di andare fino in fondo. Maudet si dovrà difendere dell'accusa di accettazione di vantaggi. E dovrà dimostrare che l'invito del principe ereditario dell'emirato (le spese ammontano a diverse decine di migliaia di franchi) non ha influito sulla sua attività. Nella lettera di scuse inviata l'altro giorno ai concittadini Maudet si dice convinto di poter fare chiarezza in tempi brevi. Ma in attesa che la giustizia faccia il suo corso, il vero guaio per lui è la perdita di fiducia che ha provocato con il suo atteggiamento. Di mezzo ci sono anche il prestigio e l'immagine di un cantone a vocazione internazionale, che non può tollerare a lungo una situazione anomala. E c'è soprattutto la credibilità di un magistrato che nel suo ruolo di presidente dell'Esecutivo (a Ginevra la carica dura tutta la legislatura) deve avere anche legittimità e autorevolezza di fronte al Parlamento e agli elettori. Anche se lui insiste nel restare in carica, la sua posizione vacilla e il mea culpa postumo potrebbe non bastare. I colleghi di Governo sono stati prudenti. Hanno voluto dare un segnale di unità e in vista dell'inchiesta penale gli hanno tolto poche competenze. Questo non toglie che Maudet si trovi ancora più di prima nel centro del mirino e cammini su un filo esposto ai venti. Il Parlamento aveva già censurato l'accettazione del viaggio. Il PLR ha confermato al suo ministro un sostegno critico, condannando senza riserve «il grave errore». I segnali sono chiari, ma l'ultima parola spetta a Maudet. Il quale, per trarsi d'impaccio, deve sperare che dall'inchiesta non emergano novità a suo sfavore e che la sua posizione indebolita non sia d'ostacolo al buon funzionamento delle istituzioni. Restare in sella non sarà una passeggiata, potrebbe anzi diventare un calvario.