I rapporti tra magistratura e politica in Italia
La campagna di quella parte assai consistente della magistratura italiana che è schierata contro le forze politiche di centrodestra – riaccesasi da quando è al governo Giorgia Meloni – è giunta a un culmine da alcune settimane sullo spunto del tentato avvio in Albania di due nuovi centri, sotto giurisdizione italiana, dove l’attuale governo intende far direttamente portare i richiedenti asilo maschi, maggiorenni, appartenenti a categorie «non vulnerabili» e originari di «paesi sicuri». In Albania essi verrebbero esaminati e quindi o accolti in Italia o rinviati in patria. Si eviterebbe così che, come adesso accade, se non accolti si dileguino vivendo poi da clandestini o in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea.
Un elenco di paesi sicuri è stato fissato dal governo. Il tribunale di Roma, competente per i richiedenti asilo ricuperati in mare aperto, lo ha però impugnato. Nel frattempo il governo ha dovuto disporre il ritorno in Italia dei primi richiedenti asilo mandati in Albania, dove i due centri, costati parecchi milioni di euro, restano vuoti. Secondo i giudici infatti, prima di inviare richiedenti asilo in Albania, occorre accertare se i paesi da cui provengono siano sicuri o meno. È chiaro il carattere strumentale di tale ingiunzione, evidentemente volta ad impedire che i centri in Albania possano venire utilizzati. Il governo ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione, che si esprimerà il 4 dicembre prossimo. Pende poi un ricorso alla Corte di Giustizia europea da parte del tribunale di Bologna, contro cui il ministro della Giustizia Carlo Nordio, egli stesso ex-magistrato, ha fatto opposizione argomentando che i giudici bolognesi avrebbero dovuto appellarsi eventualmente alla Corte Costituzionale italiana e non alla Corte di Giustizia europea.
A questo punto vale la pena di spiegare come mai la magistratura italiana sia così politicizzata e perché in suoi settori chiave sia dominante la presenza di magistrati di sinistra che tendono a mobilitarsi contro i governi di centrodestra o di destra. Volendo garantire quell’indipendenza della magistratura dal potere politico che era venuta meno durante il fascismo, gli autori della Costituzione della nuova Italia repubblicana e democratica varata nel 1947 stabilirono che «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», che «Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso», che i magistrati «sono inamovibili» e «Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura».
Essendo però le commissioni di concorso per i nuovi magistrati formate per lo più da magistrati in servizio o in pensione, si perpetua così un influsso sulla magistratura a suo tempo esercitato dal Partito comunista italiano (Pci) e in seguito dai suoi eredi. È al riguardo molto significativo che i magistrati insieme ai giornalisti siano le due uniche categorie in cui il Pci riuscì ad imporre la rappresentanza sindacale unica, che gli faceva gioco, rispettivamente con l’Associazione nazionale magistrati, Anm, e con la Federazione Nazionale Stampa Italiana, Fnsi (nei cui nomi pudicamente non ricorre la parola «sindacato»). E di conseguenza resta dominante su queste due cruciali categorie l’influsso ieri del Pci e oggi delle forze sue eredi.
Come analogamente dentro la Fnsi (un monopolio che comincia ora timidamente ad incrinarsi), anche dentro l’Anm ci sono poi delle «correnti» che consentono di misurare il predominio della sinistra in esse. L’impostazione originaria persiste oggi intatta in particolare nell’Anm, e quindi anche nel Consiglio Superiore della Magistratura, e questo spiega una mobilitazione della categoria contro i partiti e i governi di centrodestra che risale ai primi anni ’90 del secolo scorso, alla fine della «Prima Repubblica» e alla comparsa in scena di Silvio Berlusconi.