Il 2025 non è solo l’anno di Trump
Le previsioni economiche per quest’anno sono positive: l’economia americana dovrebbe crescere ad una velocità sostenuta, mentre quella europea dovrebbe arrancare in maniera sufficiente ad evitare una recessione. È auspicabile che questi pronostici vengano confermati, ma ci pare opportuno sollevare alcuni interrogativi riguardo a questa unanimità di consensi.
Il 2025 viene considerato da tutti l’anno di Donald Trump. Il suo contributo sarà sicuramente rilevante per mettere fine alla guerra in Ucraina e forse anche nel Vicino Oriente, è meno certo che risulterà altrettanto positivo per l’economia statunitense. Il presidente eletto mira a far approvare il più rapidamente possibile il suo progetto di tagli fiscali e ciò provocherà un ulteriore peggioramento dei conti pubblici americani. Infatti il debito pubblico totale degli Stati Uniti ha già raggiunto i 35.600 miliardi dollari, che corrispondono a circa il 120% del PIL americano. Finora Washington è riuscito a finanziarlo grazie al risparmio interno, grazie all’aiuto determinante della Federal Reserve e dei Paesi stranieri con in testa Giappone e Cina. Quest’anno vi sono però alcuni ostacoli: in primo luogo, nel 2025 vengono a scadenza una notevole quantità di Buoni del Tesoro che dovranno essere rifinanziati; in secondo luogo, la diminuzione dell’inflazione negli Stati Uniti è inferiore alle previsioni e ha già spinto la Federal Reserve a ventilare un rallentamento della riduzione del costo del denaro; in terzo luogo, la minaccia di Trump di introdurre dazi doganali (se effettivamente attuata) rischia di ridurre gli investimenti in dollari di diversi Paesi stranieri e nel contempo di provocare il conseguente aumento dei prezzi delle importazioni e quindi dell’inflazione. Questi pericoli sono stati «fiutati» dal team presidenziale. Infatti Donald Trump ha cominciato a ventilare l’ipotesi che i dazi non saranno contro tutto e tutti, ma saranno imposti a seconda dei Paesi e soltanto per alcuni settori merceologici. Il problema per Washington comunque non cambia: l’inflazione è lo spettro che può far mutare l’umore dei mercati finanziari, anche se la deregolamentazione promessa da Trump dovrebbe frenare il rincaro. Comunque sia, una caduta di Wall Street e un aumento dei tassi sui titoli del Tesoro americano provocherebbero conseguenze negative sulla crescita degli Stati Uniti.
Se l’economia americana potrà contare sugli stimoli fiscali di Trump, quella europea, già ansimante (nel 2024 la crescita dei Paesi della zona euro sarà solo dello 0,7%), dovrà fare i conti con una politica fiscale restrittiva a causa del ritorno in vigore delle regole (in parte aggiustate) del Patto di stabilità, ma potrà beneficiare di una riduzione del costo del denaro grazie al forte calo dell’inflazione e forse anche del tasso di cambio della moneta unica. I problemi europei sono strutturali e non congiunturali e quindi risolvibili con ritocchi di politica monetaria e fiscale. L’esempio è la Germania. In crisi è il modello economico tedesco, che si fondava su prezzi energetici bassissimi grazie alle forniture russe di gas, su settori energivori (siderurgia, vetro, chimica, ecc), su un mercato cinese che assorbiva gran parte dell’export tedesco e infine su un settore automobilistico, leader a livello mondiale. Sarà dunque estremamente faticoso e lungo ritrovare la via della crescita e ciò vale anche per le altre economie europee orfane della locomotiva tedesca. Tuttavia le migliori previsioni per l’economia europea le ha fatte il presidente del Direttorio della Banca Nazionale (BNS), Martin Schlegel, il quale a metà dicembre ha detto che la politica monetaria svizzera dovrà essere allentata ancora e non ha escluso che i tassi nel nostro Paese possano tornare ad essere negativi. Questa previsione dipende da un ulteriore rafforzamento del franco che la BNS combatterà con un ulteriore taglio dei tassi guida, che sono già stati abbassati allo 0,5%, ed eventualmente con interventi sul mercato dei cambi. Tradotto in soldoni: l’euro calerà ancora e il rischio per l’economia europea è quello di una deflazione (caduta dei prezzi), che la Svizzera dovrà cercare di evitare.