Il franco, l'Italia, i dazi USA

di LINO TERLIZZI - Cosa impedisce al franco di attestarsi in queste settimane almeno all'1,20 nel cambio con l'euro? Si tratta di un livello che era stato riacciuffato nei mesi scorsi, ma poi il franco è tornato ad apprezzarsi ed ora siamo attorno all'1,15. I fattori che stanno rendendo difficile un ulteriore e voluto (dalla Banca nazionale svizzera e dall'industria d'esportazione elvetica) indebolimento del franco sono principalmente due: le tensioni politiche nell'Eurozona, con un epicentro in Italia, e la battaglia dei dazi innescata dal presidente USA Donald Trump. Sono i due elementi che non stanno andando come le previsioni prevalenti avevano indicato nei mesi scorsi e le incertezze ad essi collegate stanno frenando le Borse e riportando in auge i beni rifugio o di ancoraggio, tra i quali il franco. Un Governo italiano Lega-5 Stelle era fuori dalle previsioni. Il che potrebbe anche non essere importante, se non fosse per il fatto che il nuovo Esecutivo di Roma non può o non vuole rassicurare i partner dell'Eurozona sul rispetto o meno degli impegni per il risanamento dei conti pubblici ed i mercati sulla sua intenzione di rimanere o meno in futuro nella moneta unica. Questa tensione con targa italiana si somma naturalmente alle altre tensioni nell'Eurozona e nell'Unione europea, con Francia e Germania ancora una volta impegnate a cercare di mettere un argine. Il risultato è fatto di Borse più incerte, di differenziale (spread) più alto sui titoli pubblici italiani e, appunto, di euro in indebolimento. In questo quadro, diventa difficile per il franco non apprezzarsi. Quanto ai dazi USA, molte previsioni indicavano che Trump avrebbe fatto la voce grossa ma non avrebbe concretizzato molto. Quello che sta accadendo mostra invece che l'Amministrazione Trump sta procedendo a tutto campo con la sua linea protezionista. Che si tratti di una strategia di fondo o di una tattica per intimorire gli avversari per ora non ha grande importanza, ciò che conta è l'incertezza creata dalla battaglia dei dazi (che c'è) e il rischio di freno ad una crescita economica mondiale che sin qui era stata buona. Le Borse risentono anche dell'effetto dazi e una parte degli investitori a maggior ragione si orienta verso beni di ancoraggio, tra cui il franco. Gli altri elementi maggiori dello scenario stanno in sostanza rispettando le previsioni. La crescita economica mondiale ha assunto il ritmo previsto, di qui in poi bisognerà però vedere gli effetti del protezionismo USA. La Federal Reserve, la banca centrale americana, sta procedendo come previsto con i rialzi dei tassi sul dollaro. Ciò sorregge la valuta USA, ma non più di quel tanto poiché questa aveva in gran parte già incorporato la manovra sui tassi. Tanto è vero che ora il dollaro fatica a salire sul franco ed a tenere il cambio di 1 a 1 con la moneta elvetica. La Banca centrale europea (BCE) dal canto suo ha rispettato le previsioni, stabilendo che la maxi-liquidità nell'Eurozona terminerà a fine anno; resta l'incognita dell'affermata volontà di mantenere ancora a lungo i tassi minimi sull'euro, ma questo è un capitolo che si vedrà meglio strada facendo. In tutto questo, i margini della Banca nazionale svizzera (BNS) sono stretti. La decisione resa nota ieri di non alzare i tassi sul franco (o di non renderli meno negativi, meglio) lo conferma. Se nel vertice della BNS qualcuno aveva intenzione di cominciare a pensare ad un rialzo dopo la lunga fase di tassi negativi, ebbene i fatti di queste ultime settimane gli hanno fatto certamente cambiare idea. Il timore dell'istituto centrale elvetico è chiaramente che un minimo movimento all'insù dei tassi svizzeri, o anche soltanto un'apertura a questa possibilità per la prossima fase, nella situazione attuale spinga ancor più in alto il franco. Quanto si è visto nella giornata di ieri è emblematico. Dopo l'annuncio della BNS sul mantenimento della stessa politica, il franco ha guadagnato qualche ulteriore frazione sull'euro e sul dollaro. Essendo i tassi elvetici invariati, non possono esser stati questi a far avanzare il franco. Piuttosto sono stati l'euro (con le tensioni europee) e il dollaro (con le tensioni sui dazi e sulla politica di Trump) ad aver lasciato ancora un po' di terreno al franco. Figuriamoci, poi, se il franco diventasse ancora più attrattivo con tassi meno bassi. Per molti aspetti è un peccato, perché sino a poche settimane fa si stavano creando alcune condizioni per uscire gradualmente dai tassi negativi e per non ricorrere ad altri acquisti di valute estere da parte della BNS. All'economia elvetica, che ha dato buona prova di sé in questi anni di superfranco, non resta che rimanere in trincea sul fronte valutario. La BNS è chiamata ad altri esercizi di acrobazia. Le variabili interne svizzere, pur con qualche problema, nella sostanza funzionano. Le variabili internazionali hanno altre dinamiche.