Il commento

Il lento declino economico dell'Europa

L’Europa non è tanto preoccupata della prossima recessione, che dovrebbe manifestarsi appieno nel primo semestre dell’anno prossimo, quanto della perdita di competitività nei confronti degli Stati Uniti e della Cina
Alfonso Tuor
15.11.2023 06:00

L’Europa non è tanto preoccupata della prossima recessione, che dovrebbe manifestarsi appieno nel primo semestre dell’anno prossimo, quanto della perdita di competitività nei confronti degli Stati Uniti e della Cina. Questo fenomeno si manifesta da almeno un ventennio e si è accelerato negli ultimi anni. I dati sono inequivocabili: l’economia europea nel 2013 aveva una dimensione pari al 91% di quella americana, oggi è solo il 63%; il PIL pro capite americano è oggi il doppio di quello europeo, anche perché la popolazione europea (450 milioni) è maggiore di quella statunitense (332 milioni). Le cause di questo processo sono numerose. Tra le prime vi è un mercato unico, creato nel 1992, che doveva dare un impulso alle innovazioni e alle attività produttive che invece, in molti campi, si è tradotto in 27 mercati nazionali ancora relativamente chiusi.

Questo declino comincia a manifestarsi chiaramente a partire dalla crisi finanziaria del 2008 e alla successiva crisi dei debiti sovrani e ad una risposta fatta, da un canto, di austerità e, dall’altra, di una politica monetaria fortemente espansiva per salvare l’euro. Ma non sono state tanto le decisioni delle autorità politiche e monetarie a spiegare questo fenomeno quanto l’assenza dell’Europa nei nuovi campi tecnologici, in primis nell’economia dell’Internet. Mentre negli Stati Uniti si sono formati dei monopoli (Apple, Amazon, Facebook, ecc.) così come in Cina (Alibaba, Tencent, Baidu), l’Europa ha perso il treno anche nelle tecnologie per le telecomunicazioni, in cui deteneva la leadership. Il fenomeno si è ulteriormente aggravato negli ultimi tempi a causa della pandemia e soprattutto a causa della guerra in Ucraina, che ha comportato un’esplosione dei costi energetici, mettendo in ginocchio i tradizionali campioni europei (chimica, siderurgia, ecc.) che oggi sono costretti a competere con industrie americane e di altri Paesi che hanno costi energetici due o tre volte inferiori. Ma c’è di più: non vi è alcun segnale di una possibile affermazione europea nelle tecnologie del futuro, ossia nella Intelligenza Artificiale e nello sviluppo dell’informatica quantistica. Anzi, negli ultimi tre anni dopo aver constatato l’assenza di impulsi da Bruxelles, i maggiori Stati nazionali europei, ulteriormente allarmati dalla decisione di Washington di reindustrializzare gli Stati Uniti a suon di piani plurimiliardari, hanno travolto la politica comunitaria di vietare gli aiuti di Stato investendo a loro volta decine di miliardi per attirare investimenti americani nel campo della produzione di semiconduttori (i famosi chips) e cinesi e coreani nell’ambito delle batterie per le automobili elettriche. Il risultato è stato prevedibile: questo via libera ha favorito Germania e Francia (che hanno già investito decine di miliardi) a scapito dei Paesi più deboli e più piccoli infliggendo un altro al colpo alla coesione del mercato unico che non è stato compensato dal risveglio della Commissione europea che ha varato un proprio «Chips Act».

Di fronte a questo stato dell’arte, Ursula von der Leyen ha chiamato due personalità italiane ad individuare i problemi e a delineare una strategia per il futuro. Essi sono Mario Draghi, chiamato ad indicare la via per recuperare la competitività dell’economia del Vecchio Continente, e Enrico Letta chiamato ad individuare le lacune del mercato unico. In un’intervista al «Financial Times», Mario Draghi ha indicato nella bassa produttività europea, nella mancanza di lavoratori qualificati e nei costi energetici nettamente superiori a quelli dei concorrenti le cause delle debolezze del Vecchio Continente, aggiungendo che senza affrontare questi problemi l’Europa non sarà in grando di sostenere una società che invecchia a ritmi molto rapidi. Si tratterà ora di vedere se i rapporti di Draghi e di Letta resteranno nei cassetti dell’Unione europea oppure si tradurranno in decisioni concrete. I problemi dell’Europa non sono congiunturali o, in altri termini, non è la recessione che si profila all’orizzonte, ma strutturali. Si tratterà di vedere se i 27 troveranno quella coesione indispensabile per evitare che la strada di un lento declino cominciata all’inizio di questo secolo verrà arrestata, altrimenti l’Europa non andrà da nessuna parte.