L'editoriale

Immagini di un mondo cambiato per sempre

Bucha, Irpin, Mariupol, Bakhmut, Kherson, Azovstal: nomi che ci ricordano la terribile realtà della guerra in Europa
Giona Carcano
24.02.2023 06:00

Bucha, Irpin, Mariupol, Bakhmut, Kherson, Azovstal, Zaporizhzhia. Nomi, luoghi, sconosciuti ai più fino a 12 mesi fa ma che oggi ci trasmettono ognuno qualcosa. Un senso familiare di morte, di case e di palazzi e di teatri distrutti. Di torture, di sepolture di massa, di omicidi, di crimini. Di invasione, di guerra, di trincee, di minacce nucleari e di missili. Immagini che rimarranno in noi, per sempre. E ci ricordano che il mondo che abbiamo lasciato solo un anno fa è diverso, oggi.

Quello in cui siamo entrati, spinti dalla violenza dei cannoni e dei soldati di Vladimir Putin, è un mondo nuovo sotto tutti i punti di vista. Più fragile, più incerto. Un mondo che dodici mesi dopo sta ancora cercando - invano - un asse stabile attorno al quale ruotare, nel bene così come nel male. L’instabilità generata da quella notte, con le immagini della frontiera ucraina attraversata dalle truppe russe, e tutto quello che ne è seguito, non si è arrestata. Si è, anzi, ingigantita, fagocitando nuovi fronti, nuovi Paesi, altre alleanze.

Eppure, un anno dopo, e dopo centinaia di migliaia di persone morte o ferite e con un rimescolamento di potenze mondiali ancora tutto da scrivere, ci sono alcuni pilastri su cui poggia la nostra civiltà che oggi ci appaiono improvvisamente più importanti.

Il primo di questi è il nostro sistema democratico. Ciò che la guerra in Europa ha risvegliato è stato un sentimento di attaccamento a valori che davamo per scontati, ma che non lo erano e non lo sono affatto. I Governi occidentali sono stati chiamati a reagire in tempo zero per salvare un Paese libero dall’annientamento. C’è chi lo ha fatto subito, chi dopo, chi ha scelto una via di mezzo. Ma quasi tutti hanno preso una posizione vieppiù netta nei confronti della guerra, agendo di conseguenza. Qualcuno dirà che lo hanno fatto in coda agli Stati Uniti, altri diranno che lo hanno fatto per mero opportunismo. Ma qual era l’alternativa?

C’è poi un secondo pilastro della nostra civiltà che ha scosso le nostre coscienze, ed è la solidarietà. Siamo di fronte alla crisi migratoria più grande dalla Seconda guerra mondiale, con milioni di ucraini in fuga. Un esodo. Eppure, man mano che i mesi passavano, la risposta europea all’emergenza è stata buona. Siamo stati capaci di accogliere, di proteggere, e allo stesso tempo di inviare beni di prima necessità, squadre di aiuto umanitario. E anche la Svizzera ha giocato un ruolo importante, concedendo lo statuto S a oltre 75 mila persone e organizzando la Conferenza di Lugano. Risultati notevoli, ai quali va aggiunto il secondo pacchetto di aiuti da 140 milioni di franchi appena chiesto dal Consiglio federale al Parlamento.

Solidarietà, dicevamo. Anche in questo campo non sono mancate le contraddizioni, le fatiche, gli scivoloni del tipo «ma quali migranti, hanno pure il SUV», come se la sola disponibilità economica debba essere misura del disagio di una persona. A conti fatti, però, la macchina umanitaria ha funzionato. Sappiamo accogliere il prossimo, ed è una lezione preziosa che deve valere anche per altre crisi migratorie, per chi non fugge in auto ma sopra una barca.

Il terzo scossone che la guerra ha portato nelle nostre case è legato all’energia. Dopo decenni di scelte che solo a posteriori sono sembrate scellerate, l’Europa si è scoperta dipendente dalle fonti energetiche russe. Gas, petrolio, carbone. Le arterie che alimentavano il nostro benessere si sono chiuse dall’oggi al domani, facendo temere il peggio. Un inverno al buio e al freddo, razionamenti. Ebbene, nulla è successo di tutto questo. In parte grazie al clima mite, certamente, ma è indubbio che la rete elettrica europea abbia superato la prima prova. Sono state trovate alternative, a volte abbracciando altri Putin in giro per il mondo oppure riaccendendo centrali a carbone, d’accordo. Ma ciò che più conta è stato prendere definitivamente coscienza di quanto l’indipendenza energetica sia fondamentale già oggi. Un modello che deve per forza accelerare sulle fonti rinnovabili, per fare un favore a noi e alle generazioni che verranno.

A un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, nessuno può dire quando finirà una guerra spesso avvolta in una nebbia di informazioni frammentate o, peggio, parziali. La diplomazia, purtroppo, sembra al momento fuggire da qualsiasi discorso politico. Ma ciò che possiamo fare, come cittadini, è continuare a credere in quei valori che finora hanno permesso a un Paese libero di resistere a un’indicibile violenza. Valori non negoziabili, che serviranno sempre di più nel nuovo mondo in cui siamo entrati il 24 febbraio di un anno fa.

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