Taca la bala

In fuorigioco per il ciuffo

L'Europeo ormai al tramonto dovrebbe essere l'occasione per ripensare l'uso del VAR, una tecnologia che snatura il calcio e che spesso tende a punire le dinamiche di una sfida sportiva basata anche sui contrasti
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
12.07.2024 06:00

La poesia del calcio è l’eterno dibattito che suscita tra gli appassionati e nemmeno l’introduzione del VAR potrà mai mettere a tacere. Prendiamo il rigore concesso agli inglesi in semifinale contro l’Olanda: una moltitudine di esperti si affanna cercando di spiegarci perché l’intervento di Dumfries su Kane era da punire col tiro dal dischetto, ma c’è una minoranza che contesta la decisione e tra questi un paio di nomi illustri inglesi, come gli ex nazionali Jamie Carragher (già difensore del Liverpool) e Gary Neville (anche lui a suo tempo difensore nel Manchester United). Chi scrive sta dalla loro parte: Dumfries è lanciato sul pallone, arriva su Kane quando l’attaccante ha già tirato a rete, ci sta il giallo, ma mai il calcio di rigore, visto che Kane nonostante l’intervento scomposto ha potuto portare a compimento l’azione. «Una decisione scandalosa, Dumfries entra e cerca di bloccare il tiro. Questo non è mai calcio di rigore» afferma Neville. E il suo collega Carragher concorda. Applausi.

Spero tanto che questo Europeo ormai al tramonto costituisca l’occasione per ripensare l’uso del VAR, una tecnologia che snatura il calcio e tende a punire dinamiche di gioco che devono essere lette nel contesto dei movimenti necessari e naturali che danno vita ad una sfida sportiva basata anche sui contrasti. Il calcio è uno sport di contatto e l’impressione è che oggi sia interpretato da gente che non ha mai giocato a pallone. In questo senso, è da reinterpretare assolutamente la lettura del fallo di mano dentro l’area di rigore, perché è impensabile che un calciatore possa correre senza l’aiuto delle braccia e questo aiuto comporta il fatto che il braccio si stacchi dal corpo e qualche volta, involontariamente, incroci la traiettoria del pallone. Come ha ben detto il ct della Danimarca Kasper Hjulmand dopo la sconfitta negli ottavi contro la Germania, «non possiamo dire ai difensori di correre con le braccia attaccate al corpo, sarebbe innaturale».

Poi c’è la questione fuorigioco, che forse è la più urgente da risolvere, perché qui davvero si sta andando contro la natura del calcio. La regola del fuorigioco è stata inventata per evitare furbate quando al calcio si giocava al rallentatore: si voleva impedire che qualche giocatore si installasse nei pressi del portiere avversario, in attesa del lancio lungo dei compagni che gli avrebbe permesso di segnare facilmente. Così ecco la regola del due, come i giocatori necessari fra l’attaccante e la porta per rendere valida l’azione. L’introduzione del VAR ha reso l’interpretazione del fuorigioco semplicemente grottesca e inaccettabile, perché tradisce lo spirito della norma e in definitiva quella dello stesso calcio.

Abbiamo visto gol annullati per una questione di centimetri se non di millimetri: basta che oltre la linea immaginaria creata dalla presenza del difensore spunti un ciuffo di capelli, il profilo del naso, la punta di una scarpa (guai agli sfigati che calzano taglie importanti...) e zac!, scatta l’intervento sanzionatorio del VAR che riesce ad annullare gol magari bellissimi, dopo attese interminabili e urla di gioia strozzate in gola. È questo lo spirito del calcio? Non si sta forse ammazzando lo spettacolo?

Si sa che anche nelle alte sfere dirigenziali la questione è all’ordine del giorno e in realtà mesi fa circolava una proposta di modifica secondo la quale un attaccante potrebbe rimanere in gioco a condizione che una parte del suo corpo rimanga in linea con il difensore. La «misura» del fuorigioco non si farebbe più con la parte anteriore del corpo, quella che sporge davanti al difensore, bensì con quella posteriore. Si fischierebbe, insomma, solo e se c’è «luce» tra difensore e attaccante, una misura accettabile e auspicabile. Ma quanto dobbiamo ancora aspettare?

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