Riflessioni

In un mondo di immagini che nessuno sa leggere

La civiltà contemporanea ci circonda e ci bombarda di stimoli visivi e fotografie che siamo sempre meno in grado di interpretare nel loro autentico significato e da cui non possiamo difenderci, con il rischio concreto di farci manipolare e imprigionare senza ragione
© Shutterstock
Roberto Cotroneo
06.02.2020 06:00

Sta accadendo qualcosa di molto interessante. Ce lo ripetono ormai da qualche anno: viviamo sempre di più in una società dell’immagine. Lo si dice in un senso preciso. L’immagine sarebbe il modo in cui ci mostriamo, e soprattutto il modo in cui vorremmo essere riconosciuti. Accade da tempo, da molto prima che i telefoni cellulari e gli smartphone diventassero strumenti irrinunciabili per catturare il mondo, facendosi memoria di quello che siamo e che saremo. Però oggi la civiltà dell’immagine non è il modo in cui ci mostriamo, ma è il modo in cui catturiamo il mondo, il modo in cui lo leggiamo: non si tratta di noi, si tratta di quello che è fuori di noi. Agli osservatori più attenti non sarà sfuggita la maniera di utilizzare l’obbiettivo fotografico degli smartphone. Certo, per immortalare un bel panorama. Certo, per ritrarsi in un selfie, magari con gli amici. Certo, per fermare un momento irrinunciabile. Ma poi anche per prendere appunti, anche per memorizzare qualcosa che ci servirà più avanti. Alle volte per mettere in memoria un documento, una didascalia di un quadro in un museo, un orario di un negozio da tenere a mente, con i giorni di chiusura. Oppure una libreria Ikea, con tanto di prezzo e possibili dimensioni. Un tempo si prendeva il taccuino e si scrivevano appunti. Oggi le cose si fotografano.

Il mosaico di Otranto

A Otranto, cittadina pugliese bella e importante per opere d’arte e storia, c’è un mosaico straordinario. Prende l’intero pavimento della cattedrale, ed è della fine del dodicesimo secolo. È uno di quei mosaici con un albero della vita. Attorno a quest’albero ci sono figure, episodi e storie. Tratte dalla Bibbia, da altri testi religiosi, ma anche da libri profani che raccontano il ciclo delle stagioni, il lavoro degli uomini, i mesi dell’anno. È conservato perfettamente. Ed è un’opera importante, serviva ai pellegrini e ai fedeli. Lì capivano le scritture, leggevano a loro modo il mondo: come fosse un libro di figure, un testo di soli disegni. Per tanti anni, quando dovevamo fare un regalo ai nostri figli o ai figli dei nostri amici, non era raro che andassimo in libreria a cercare proprio un libro di figure, dove i bimbi, non ancora in età scolare, immaginano il mondo e se lo raccontano.

I contadini dell’alto medioevo non erano mai andati a scuola. E anche loro avevano bisogno dei libri di figure. I libri con gli animali per i bimbi del nostro tempo, per gli uomini di quel tempo lontano, analfabeti c’erano invece i bestiari nei mosaici delle chiese. Ma le chiese sono sempre stati luoghi dove le Madonne con bambino, gli episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, le trombe dell’apocalisse, la simbologia e l’iconologia dei santi, ognuno con qualcosa che li faceva riconoscere, erano un linguaggio visivo compreso da tutti. Le figure parlavano e raccontavano. Prima le pale d’altare, poi i polittici, e gli affreschi, e le cappelle con i dipinti dei cicli religiosi. E questo accadeva nei palazzi ducali, principeschi, nei porticati, nei palazzi dei podestà. Si raccontava per immagini. E tutti sapevano leggere le immagini.

Quello che accade oggi è che tutti raccontano per immagini, solo che le immagini non le sa più leggere nessuno. Qualche tempo fa una rivista cattolica lamentava di questo uso eccessivo di scritte, parole, slogan, dentro le chiese. La parola di Cristo, che un tempo era immagine, e racconto artistico, ora è tornata parola, e i luoghi religiosi hanno rinunciato alla raffigurazione e sono entrati nell’era degli slogan.

Così, di questo passo, avremo bambini che non sanno più leggere le figure, adulti che non sono mai stati capaci di leggerle, e analfabeti di ritorno che non hanno dimestichezza neppure con le parole.

Quale grammatica?

Cosa resta allora di tutto questo? Qualcosa di veramente strano. Le immagini vengono catturate, senza parole e senza capacità di interpretarle, senza grammatiche, in un mondo che vive di troppe immagini. Imparare a leggere è importante, ma è molto più importante imparare a leggere le immagini complesse che ci circondano e che sono sempre più invadenti. Ed è attraverso le immagini che veniamo persuasi, sedotti, sviati e manipolati. Assai più che attraverso le parole. Ma pochi se ne rendono conto. La propaganda è parola usata in modo strumentale e si riferisce sempre e comunque ai testi. Eppure avremmo dovuto imparare che spesso una fotografia vale più di mille immagini. Ha una forza più dirompente. Dalle parole ci si può difendere, le conosciamo, le teniamo a distanza e mostriamo diffidenza. Dalle immagini, come fossimo tutti bambini nel tempo, non ci difendiamo abbastanza. Spesso ci fanno emozionare, altre volte ci indignano, altre ancora ci addolorano, ma ci imprigionano, senza un vero perché. Ed è di questo che dovremmo davvero preoccuparci.