Intelligenza e lavoro
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Il titolo di questa edizione 2025 del World Economic Forum di Davos – «Collaborazione nell’era dell’intelligenza» – rimanda subito alla massiccia evoluzione delle nuove tecnologie e dunque anche all’ampio capitolo dell’Intelligenza Artificiale (IA). Ma tra le righe si può leggere anche un altro riferimento, quello alla necessità di usare meglio e di più anche la pur sempre decisiva Intelligenza Umana (IU). In effetti, l’arco esteso delle conflittualità di vario grado esistenti nell’attuale quadro internazionale, dalle «semplici» tensioni politiche e commerciali sino alle vere e proprie tragedie delle guerre, comporta un grande carico di ingiustizie ma anche, in fin dei conti, una pesante umiliazione per l’intelligenza degli esseri umani.
Ampliare l’aspetto della collaborazione e comprimere l’aspetto del conflitto è questione evidentemente complessa. Ma ogni passo in questa direzione, anche non grande, può servire, se non oggi domani. Le tecnologie saranno comunque, ancor più quest’anno, un tema forte qui a Davos ed è auspicabile che in questo incontro mondiale, che resta in ogni caso rilevante, ci possano essere anche tracce di un invito a tenere il nuovo tech nell’ambito dello sviluppo economico e sociale, evitando sempre più applicazioni che possano incoraggiare i conflitti estremi. È ormai chiaro che l’ampio pacchetto delle tecnologie, con l’IA ora in prima fila, ha già trasformato e ancor più trasformerà i modi di vivere e lavorare. Occorre gestire questo nuovo quadro, non si tratta solo di un fatto tecnico, ma anche di una riflessione più generale.
Secondo il Rapporto 2025 sul futuro dell’occupazione, messo a punto dal WEF, entro il 2030 saranno messi in discussione in vario modo 92 milioni di impieghi. Ma le proiezioni dello studio indicano anche che 170 milioni di posti di lavoro, sempre entro il 2030, saranno generati dalle tendenze globali della tecnologia appunto, e poi dell’economia, della demografia, della transizione ecologica. Dal Rapporto emerge dunque una stima di 78 milioni di nuove opportunità di lavoro, in mestieri sia del tutto nuovi sia tradizionali ma aggiornati. È un po’ l’antico discorso dell’evoluzione tecnologica ed economica, seppur rivisitato in chiave attuale, visto il ritmo ancora più veloce di cambiamento. I timori verso le nuove tecnologie da una parte e verso lo sviluppo degli scambi economici dall’altra ci sono da sempre e sono in parte comprensibili, perché i passaggi di fase spesso non sono semplici. Ma osservando le tendenze di lungo termine si può vedere come i mutamenti tecnologici ed economici nel tempo non abbiano affossato l’occupazione, al contrario nel complesso i posti di lavoro ora sono più numerosi rispetto a epoche passate.
Certo, ogni cambiamento di grande entità va gestito per il verso giusto, da ogni punto di vista, economico, giuridico, sociale. Nell’impiego, sarebbe sbagliato abbandonare parti del mondo del lavoro senza fornire strumenti per il passaggio al nuovo quadro. Vanno create le nuove competenze necessarie, da un lato attraverso i sistemi di istruzione per i nuovi ingressi nel mercato del lavoro, ma dall’altro anche attraverso la riqualificazione degli addetti che vedono sparire l’impiego di prima e che però possono anche trovare in questo modo il nuovo impiego, di ora e se possibile del futuro. Spesso sono le imprese che vogliono investire ad affermare che esistono carenze sul piano delle competenze. Per aziende e governi, fuor di ogni retorica, qui c’è una sfida concreta e ampia da affrontare, molto meglio se in collaborazione. È questione di necessità, ma in fondo anche di Intelligenza. Soprattutto Umana.