Intelligenza per grandi
Quando ci sono importanti innovazioni tecnologiche può formarsi una bolla speculativa. Non sempre, ma accade. È stato così con l’avvento di Internet alla fine degli anni Novanta. Un sacco di soldi fluivano spensieratamente in ogni progetto che avesse «dot-com» nel nome. Nel marzo del 2000 la bolla è esplosa fragorosamente lasciando parecchi investitori tramortiti e a mani vuote. Però, come si è visto in seguito, non tutto era «aria», anzi, le aziende molto solide e innovative sono oggi tra le più quotate. In passato era già successo, con l’avvento della ferrovia nel 1840 oppure con le biotecnologie negli anni Ottanta.
Fino al 2021 una startup che volesse trovare finanziamenti faceva bene ad aggiungere al proprio nome o da qualche parte nella descrizione del suo prodotto la parola magica «crypto» - e i capitali arrivavano copiosi. Oggi, dopo il crollo di alcune tra le maggiori piattaforme di criptovalute come FTX e numerose superstar del settore assicurate alla giustizia, non funziona così bene. Ma fino al 2021 il mercato era spumeggiante. Difficile sapere quanti soldi sono stati bruciati. Oggi non ci casca (quasi) più nessuno. Le criptovalute, secondo un rapporto dell’ONU, sembrano invece molti utili al mondo sommerso del crimine o del gioco d’azzardo illegale.
Poi è arrivato il «metaverso». Per qualche anno ogni azienda - indipendentemente da quello che produceva - doveva cimentarsi con la realtà virtuale. Tutte le strade parevano passare da lì. Fino al 2022 era opinione corrente che la realtà virtuale fosse la tendenza del futuro. Persino Facebook, non solo ha investito 21 miliardi (tutti persi secondo Bloomberg), ma ci ha creduto così tanto da cambiare nome all’azienda, oggi Meta.
Dopo il lancio di ChatGPT nel novembre 2022 - un evidente balzo in avanti nell’intelligenza artificiale - parrebbe che gli investitori abbiano dimenticato (almeno in parte) criptovalute e metaverso. Da allora è d’obbligo etichettare ogni prodotto o processo aziendale con «intelligenza artificiale». Poche aziende riescono a sottrarsi e il marketing dei loro progetti ruota attorno alla IA. Per ogni azienda seria che grazie all’intelligenza artificiale migliora i processi di produzione o crea prodotti migliori ce ne sono molte altre che usano il «buzzword» (parola magica, alla moda) «intelligenza artificiale» per ottenere maggiori investimenti. E funziona. Già qualche anno fa, le aziende che dicevano di utilizzare l’intelligenza artificiale ottenevano il cinquanta per cento in più di capitali. Per alcune si tratta probabilmente solo di un’etichetta. Già tempo fa il WSJ metteva in guardia a fronte di evidenti esagerazioni da parte di startup che di fatto non avevano neppure i mezzi per usare l’intelligenza artificiale. Infatti, questo presuppone infrastrutture capaci di elaborare gigantesche quantità di dati. Può farlo una grande azienda. Ma altre più piccole? Per poter utilizzare i dati a disposizione (per esempio dei propri clienti) e automatizzare certi servizi occorre avere infrastrutture mature, capaci di elaborare i dati. Non sono molte le aziende che possono farlo e, soprattutto, farlo in modo che sia economicamente redditizio. Per la CEO di Accenture (tra i maggiori consulenti aziendali presenti in 120 Paesi) la maggior parte dei dirigenti d’azienda, «alla domanda se c’è qualcuno nella loro organizzazione in grado di dire dove viene utilizzata l’IA, quali sono i rischi e come vengono mitigati, rispondono “no”». Onesti. Certamente sarà diverso in pochi anni. Ma per il momento la competenza e la capacità di usare l’intelligenza artificiale restano concentrate nelle aziende più grandi.
Quando si forma una bolla non lo si vede, lo si può dire con certezza solo dopo, a scoppio avvenuto. La storia insegna che le aziende solide e serie escono rafforzate. Ma quelle spensieratamente esuberanti?