Il commento

La campagna negli USA tra promesse e sacrifici

I problemi dell’economia americana non vengono sollevati pubblicamente, per non spaventare l'elettorato
Alfonso Tuor
16.10.2024 06:00

La politica americana si è «trumpizzata»: è questo il giudizio sulla campagna elettorale americana de «The Economist». Il settimanale britannico spiega che mentre Kamala Harris si è avvicinata alle vecchie politiche di Donald Trump, Trump è diventato più estremista, riuscendo comunque ad imporre i temi su cui si è giocata la campagna elettorale. Questa lettura si concentra sulle scelte che dipendono direttamente dalla Casa Bianca ed esclude i temi (come la visione del futuro, l’aborto, l’emigrazione, ecc) in cui i due candidati sono su posizioni completamente opposte. Il settimanale britannico non coglie però il vero motivo di questo fenomeno: sia Kamala Harris sia Donald Trump non hanno affrontato le cause del fatto che gli americani vivono al di sopra dei propri mezzi, sfruttando il ruolo internazionale del dollaro. Infatti, come è a tutti noto, gli Stati Uniti «vantano» un doppio deficit: un disavanzo sempre in crescita dei conti pubblici e un grande deficit della bilancia commerciale. Per sostenere questa situazione devono continuamente indebitarsi con l’estero e devono pure ricorrere a poco noti trucchi. Negli ultimi tempi questa politica non è stata difficile: gli alti tassi di interesse imposti dalla Federal Reserve per combattere l’inflazione e l’eccezionale performance di Wall Street hanno attratto capitali da tutto il mondo. A ciò si sono aggiunti gli artifici degli operatori finanziari che si sono indebitati in valute estere con tassi di interesse zero o bassissimi per poi convertirli in dollari ed investirli in azioni o obbligazioni statunitensi (il caso del Giappone è esemplare: è bastata la possibilità di un aumento del costo del denaro nipponico per far cadere Wall Street in seguito al precipitoso rientro a Tokyo di grandi quantità di denaro preso a prestito dagli americani). Ora con il rallentamento della crescita americana e la politica di riduzione dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve questa politica deve essere aggiornata. Quindi i due candidati alla Casa Bianca avrebbero dovuto fare proposte per ridurre il disavanzo federale, che è la causa prima degli squilibri statunitensi. Ma in campagna elettorale è meglio fare promesse che parlare di sacrifici. Così Donald Trump, se eletto, ha predetto un aumento del debito pari al doppio di quanto farebbe Kamala Harris. Questi incrementi andranno ad aggiungersi ad un debito pubblico che è già superiore al 120% del PIL americano.

I creditori di questo enorme debito per importanza sono le casse pensioni, la Federal Reserve, il Giappone e la Cina. La banca centrale statunitense ha il compito di acquistare i titoli statali che il mercato non assorbe e per svolgere questo compito stampa dollari che entrano nel circuito economico. Quindi in realtà l’economia americana non scoppia di salute, ma è continuamente «salvata» dalla Federal Reserve. Alla bolla che sta vivendo l’intera economia americana si aggiunge quella delle valutazioni delle azioni delle società attive nell’Intelligenza artificiale (AI) che hanno spinto gli indici a stabilire nuovi primati storici. L’aspettativa di grandi utili dell’high tech rischia però di venire delusa, come è accaduto nel 2000 con le azioni Internet. Nulla di tutto ciò prefigura una crisi all’orizzonte anche perché il ruolo di moneta di riserva del dollaro non è stato ancora messo in discussione. Ma anche se i candidati alla Casa Bianca non ne parlano, Donald Trump in uno scatto di ira ha dichiarato che alcuni Paesi (alludendo ai BRICS) vogliono attentare alla forza del dollaro, ma la risposta americana sarà durissima e li ridurrà a paria. Dunque il problema non solo è conosciuto, ma è temuto ed è la causa prima delle attuali tensioni geopolitiche, che spingono molti a ritenere che siamo alla vigilia della Terza Guerra mondiale. Esso però non viene sollevato pubblicamente, poiché non bisogna spaventare l’elettorato americano. Al popolo, come dicevano gli antichi romani, bisogna dare panem et circensis, ossia pane e giochi per farli pensare ad altro.