Taca la bala

La carriera di Patrick Küng?Un copione per un film di successo

Il commento di Tarcisio Bullo sui fatti dello sport
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
25.01.2019 06:00

Affidata ad un regista capace, la carriera sportiva di Patrick Küng, il discesista rossocrociato che ha appena annunciato il ritiro dalle gare, potrebbe diventare il copione perfetto per un film di successo.

Nella vita agonistica del glaronese infatti c’è stato di tutto, e non in dosi omeopatiche e circoscritte a un ambito di piccole dimensioni, considerato che il nostro è stato campione del mondo e ha vinto al Lauberhorn.

Angoscia, dolore, talento, speranze, infortuni, successi e fallimenti: tutto questo si è inanellato nel corso di un ventennio di pratica sportiva, indelebilmente segnata dall’incidente che nel 2002, quando Patrick aveva 18 anni, causò la morte in pista del suo amico ventenne Werner Elmer, glaronese come lui, in una discesa FIS a Verbier. Un episodio che ha segnato profondamente Küng, impedendogli a lungo di ritrovare la serenità per affrontare la competizione col coraggio di spingersi al limite.Quando ritrovò quel coraggio, una serie di infortuni brutali fermò l’ascesa di un ragazzo al quale il talento non faceva difetto, ma che immancabilmente, non appena arrivava sul punto di poterlo esprimere, doveva confrontarsi con difficoltà inattese. Patrick ricorda che nel 2009, quando aveva già 25 anni, si ritrovò a gareggiare in Coppa Europa, davanti ad una manciata di spettatori, e non poté fare a meno di pensare ai suoi amici Daniel Albrecht e Marc Berthod, coi quali in precedenza rivaleggiava alla pari, già campioni del mondo juniores e già vincitori in Coppa del mondo, ormai certezze dello sci rossocrociato. Si può capire, dunque, qualche sbandata del nostro, al quali gli addetti ai lavori rimproveravano una condotta non proprio esemplare sul piano sportivo. Nel 2010, alle Olimpiadi di Vancouver, il presidente di Swiss Ski Urs Lehmann lo scaraventò brutalmente sotto la luce dei riflettori, affermando che beveva troppo.

Forse, a ragion veduta, la scudisciata di Lehmann ebbe il potere di scuotere Küng, di rimetterlo sui binari giusti per andare alla ricerca di quel successo che in CdM arrivò per la prima volta in superG a Beaver Creek nel 2013, quale preludio alla sua miglior stagione di sempre, che fu quella del 2014, quando firmò la grande impresa del Lauberhorn. E poco importa ricordare oggi che non vinse sul tracciato originale, ma accorciato: il libro d’oro di Wengen reca le firme dei grandi interpreti della discesa e Patrick Küng a modo suo è stato uno di loro, come ha dimostrato anche la conquista del titolo mondiale del 2015, ancora a Beaver Creek. Al di là delle disquisizioni sui meriti e sulla casualità - ma Küng non è paragonabile di sicuro al Lehmann di Morioka... - c’è da ricordare con una punta di amarezza che dopo la stagione esaltante del 2014 e la vittoria al Lauberhorn, Küng perse lo sponsor principale e affrontò i Mondiali l’anno successivo con la scritta «Küng & Friends» sul casco: quattro amici imprenditori lo aiutarono. Nella sua carriera sono ben leggibili coincidenze difficilmente spiegabili nella vita di noi umani: ha vinto la prima gara in CdM dove due anni dopo conquistò il titolo mondiale; ha trionfato al Lauberhorn e su quella stessa pista, sabato scorso, dopo l’ennesima caduta e un’altra commozione cerebrale ha deciso che non avrebbe più rischiato l’osso del collo. Forse anche il ricordo dell’incidente subito in Val Gardena da Marc Gisin, suo compagno di camera, può aver giocato un ruolo.

Esce di scena un ragazzo timido, di una gentilezza squisita, che a volte aveva lo sguardo triste. Un campione che ha saputo cogliere la sua buona stella ed è stato ricompensato per la sua caparbietà da un titolo mondiale che lo proietta per sempre nella storia.

La stampa non l’ha mai cercato con assiduità: più di un suo buon piazzamento, spesso ai giornalisti interessava avere notizie dello stato di salute di Beat Feuz. Il vostro cronista ha il piacevole ricordo di un’intervista ottenuta senza fatica l’anno dopo la conquista del titolo mondiale, in un albergo di Bormio. Mi presentai da Patrick senza preavviso, lo incontrai sulle scale che andava a far cyclette: «Aspettami mezz’ora, sarò a tua disposizione». Non era da tutti.