Il commento

La crisi dell'auto e le contromosse

Volkswagen, travolta dalla concorrenza locale, non solo non vende ormai più auto in Cina, ma si vede insidiata sul proprio mercato interno dalle auto di produzione cinese
Roberto Ronza
Roberto Ronza
23.12.2024 06:00

Anche se Ursula von der Leyen è stata confermata alla presidenza della Commissione, e se la maggioranza dell’Europarlamento sulla carta rimane la stessa, dopo le votazioni dell’Europarlamento del 6-9 giugno scorso nell’Unione Europea qualcosa è cambiato. E questo avrà molto probabilmente un impatto anche sulla politica dell’Unione in tema di auto elettriche. Dentro i raggruppamenti della maggioranza (popolari/democristiani e socialisti) hanno assunto maggior peso le componenti meno inclini alla subalternità culturale al «pensiero unico», e quindi tra l’altro all’ambientalismo estremista. Inoltre nella Commissione c’è un vicepresidente esecutivo italiano, Raffaele Fitto, in origine democristiano ma che appartiene oggi a Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni. La sua nomina è un grosso successo di Meloni che, benché il suo partito abbia votato contro la rielezione di Von der Leyen, l’ha ottenuta rivendicando che l’Italia è uno Stato membro dell’Unione troppo grosso per rimanere fuori della Commissione e senza una vicepresidenza. Questo nuovo assetto delle istituzioni europee apre la via a una revisione di norme, che erano state approvate dal precedente Europarlamento, volte a rendere impossibile dal 2035 in avanti la vendita di auto a motore termico nell’Unione.

Norme che, come noto, stanno mettendo in seria crisi l’industria automobilistica europea a tutto vantaggio di quella cinese. La Germania, che aveva puntato sulla Russia come suo fornitore unico di gas e sulla Cina come primo cliente extra-europeo della Volkswagen, era per questo già in grave crisi. A seguito della guerra in Ucraina ha perso l’economico gas russo, in parte a causa delle sanzioni e in parte perché qualcuno nel settembre 2022 le ha sabotato il gasdotto Nordstream, che attraverso il mar Baltico la collegava direttamente con la Russia; e la Volkswagen, travolta dalla concorrenza locale, non solo non vende ormai più auto in Cina, ma si vede insidiata sul proprio mercato interno dalle auto di produzione cinese. In questo quadro è significativo che Massimiliano Salini, attuale vicepresidente del Gruppo Partito Popolare Europeo e da sempre contrario all’estremismo ambientalista, abbia pochi giorni fa ufficialmente criticato la disciplina vigente affermando che non si può valutare il carico inquinante dell’auto misurando solo ciò che esce dal tubo di scappamento del motore, ma che tale carico va valutato tenendo conto di tutto il processo di produzione, uso e smaltimento dell’auto ormai fuori uso. Tale dichiarazione sembra preludere all’approvazione nel prossimo gennaio di un nuovo regolamento dell’Ue in forza del quale verrebbero abolite le multe finora previste dal 2035 per le industrie che continuassero a produrre auto a motore termico; ed inoltre non verrebbero più pretesi per quella data dei motori «a emissione zero» ma si esigerebbe una «neutralità carbonica» finora non meglio definita. Ciò spingerebbe l’industria a riprendere gli investimenti ora abbandonati sulla riduzione complessiva dell’impatto ambientale del ciclo dell’auto considerato nel suo insieme, appunto dalla sua produzione al suo smaltimento finale.