Il commento

La deriva pericolosa del Titan

Sullo sfondo di tutto ciò, le cronache hanno già dimenticato un’enorme tragedia accaduta pochi giorni fa, quando un peschereccio con a bordo 700 migranti si è inabissato a sud del Peloponneso
Paride Pelli
23.06.2023 19:57

La vicenda del Titan, conclusasi tragicamente dopo giorni di angoscia, sollecita purtroppo alcune amare riflessioni. Il piccolissimo sottomarino, poco più grande di un SUV, aveva a bordo cinque persone, di cui quattro passeggeri. Non era, la sua - duole ammetterlo - una missione scientifica o esplorativa o militare, ma una semplice, per quanto estrema, vacanza. Il costo del biglietto era di 250 mila dollari a testa. Uno dei passeggeri, due anni fa, aveva pagato il doppio per partecipare a una missione spaziale. Altri due, un padre di 48 anni e suo figlio di 19, facevano parte di una delle famiglie più ricche del Pakistan e sul Titan stavano cercando un viaggio diverso da tutti gli altri, qualcosa di unico, sebbene – nostra opinione – un po’ macabro. Sarebbe ora facile fare dell’ironia sul genere «anche i ricchi piangono» e infatti sui social si leggono purtroppo anche battute di questo tenore. Si tratta di ironia e di cattiveria ingiustificabili, davvero fuori luogo. È vero che i passeggeri del Titan facevano tutti parte di una fascia economica alta o anche molto alta. Miliardari annoiati, ha osservato qualcuno, che avendo esaurito la capacità di emozionarsi per una traversata del Mediterraneo sul proprio yacht, vanno alla ricerca di emozioni sempre più estreme, da raccontare nei dettagli durante il resto dell’anno, tra l’invidia e l’ammirazione di amici altrettanto ricchi ma, forse, meno coraggiosi.

Può essere che sia così. Tutti noi però conosciamo persone con professioni e stipendi normali che, avendone l’occasione, non saprebbero trattenersi dal salire a bordo del Titan o che magari si sono già lanciati in avventure rischiose. Più che una vicenda di privilegi e di ricchezze, la deriva del Titan è però indicativa di quanto la nostra società sia diventata terribilmente esigente e affamata in fatto di novità ed emozioni forti. E forse, anche se è difficile ammetterlo, anche molto annoiata. Tutto, anche la ventina di giorni di meritate vacanze, deve essere all’altezza di un alto numero di visualizzazioni su Instagram.

È un gioco pericoloso, su cui alcune aziende tentano di innestare dei business ad alta redditività, con alcuni segmenti già a rischio di saturazione: si pensi alle «code» - qualcosa di grottesco - che si formano in cima all’Everest, dove pagando fino a 200 mila dollari anche lo scalatore meno allenato può arrivare in vetta e, magari, provare a scattarsi un «selfie». Ogni settore ha le sue storture, e il turismo, compreso quello di alta classe, non è da meno. Spiace soltanto che in valigia, oltre ai vestiti, si metta a volte pure la propria vita.

Sullo sfondo di tutto ciò, le cronache hanno già dimenticato un’enorme tragedia accaduta pochi giorni fa, quando un peschereccio con a bordo 700 migranti si è inabissato a sud del Peloponneso. Oltre ottanta i cadaveri ripescati. Anche in questo caso, si può parlare di un business ad alta redditività, quello lugubre degli scafisti, che approfittano non della noia ma della disperazione di altri esseri umani. Non è un bel periodo, cari lettori. Si pensava che la pandemia ci avesse reso più saggi, in grado di apprezzare maggiormente la cara quotidianità e la semplice libertà di viaggiare per il mondo, ad altezze normali, né troppo in alto né troppo in basso, ma può essere che ci abbia reso invece più fragili e quindi più inutilmente agitati, perfino in vacanza.

Il presidente della Titanic International Society, l’organizzazione USA fondata nel 1989 per preservare la storia del Titanic, ha intanto (finalmente) messo in discussione la necessità di questi viaggi estremi in fondo all’oceano. «Da imparare, sul relitto e sul campo di detriti, c’è ormai poco, visto che il transatlantico britannico affondato nel 1912 è stato mappato in lungo e in largo con tecnologia 3D ad alta risoluzione» ha affermato. Al giorno d’oggi basterebbe insomma sedersi comodamente davanti al computer per vedere da vicino il Titanic e i suoi resti. Troppo banale, forse, soprattutto da raccontare.

 

In questo articolo: