Il commento

La Germania e l'uscita dalla crisi

Il Paese è sotto choc: la conferma l’hanno data le elezioni in Turingia, Sassonia e Brandeburgo dove Alternative für Deutschland e l’Alleanza per Sahra Wagenknecht hanno raccolto più del 40% dei voti
Alfonso Tuor
25.09.2024 06:00

La Germania è sotto choc. La conferma l’hanno data le elezioni in Turingia, Sassonia e Brandeburgo dove Alternative für Deutschland e l’Alleanza per Sahra Wagenknecht hanno raccolto più del 40% dei voti. I colpi subiti dal Paese sono stati talmente forti da mettere in dubbio la previsione che vede nelle elezioni federali del 25 settembre dell’anno prossimo (se non si terranno prima per il ritiro del Partito liberale dalla coalizione di Governo) il successo di una nuova Grosse Koalition tra popolari democratici e socialdemocratici. Questa certezza deve però superare la prova di un altro anno molto difficile per l’economia tedesca. La maggiore economia dell’Europa non è solo in difficoltà per la guerra in Ucraina con la conseguente esplosione dei prezzi energetici e il forte aumento dell’inflazione e per una crescita economica stentata da prefisso telefonico, ma soprattutto perché il modello economico e sociale del Paese è in crisi. I treni non arrivano in orario, le infrastrutture non sono state né rinnovate né ampliate, è tramontata la speranza di una facile integrazione del milione di profughi siriani entrati in Germania e anche alcuni campioni della forza industriale del Paese appaiono oggi in crisi e in difficoltà ad affrontare le sfide delle nuove tecnologie e infine la coalizione «semaforo» del Governo appare litigiosa e incapace di affrontare le sfide del Paese.

Ma il colpo di grazia alla fiducia dei tedeschi in loro stessi l’ha dato la potente industria dell’auto. La «grande» Volkswagen ha annunciato per la prima volta nella sua storia la chiusura di alcuni stabilimenti in Germania e migliaia di licenziamenti. Analoghi provvedimenti sono stati presi a cascata dalle società dell’indotto e toccheranno sicuramente anche le aziende svizzere e italiane che forniscono componenti a questo gigante dell’auto. L’aspetto più traumatizzante è che questa crisi è dovuta al ritardo dell’industria tedesca e anche europea nel software delle nuove auto elettriche (in cui i cinesi hanno fatto passi da gigante) e non nelle parti meccaniche. È pure dovuta alla contrazione del mercato europeo che (compresa Svizzera e Norvegia) l’anno scorso ha assorbito solo 12,8 milioni di veicoli, mentre nel 2019 ben 15,8 milioni. Questa diminuzione è sicuramente dovuta alle difficoltà congiunturali e anche al Green Deal europeo (fortemente contestato dall’industria automobilistica) ma è anche dovuta al ritardo e alla conseguente impreparazione al passaggio dal motore termico a quello elettrico. Paradossalmente il salvataggio potrebbe giungere dagli americani che intendono proporre il divieto dell’importazioni di auto cinesi, poiché contengono software che potrebbero essere usati in eventuali cyberguerre come quella condotta da Israele in Libano con i ricerca persone e walkie talkies. Se tale misura dovesse essere condivisa dall’Europa, per l’industria tedesca si chiuderebbe il mercato cinese dove consegue i maggiori utili e sarebbe pure un passo pericoloso per la pace nel mondo. Altro schiaffo all’orgoglio tedesco è il tentativo di acquisizione della Kommerzbank dall’italiana Unicredit, al quale Berlino ha già opposto un secco no.

Per i tedeschi abituati in questo dopoguerra a vivere disciplinatamente in un Paese governato da una élite pubblica e privata capace di affrontare con sapienza le difficoltà è un vero choc. Non sorprende che ci sia una «rivolta elettorale» contro i partiti di Governo e anche contro un’Europa voluta e sostenuta dall’establishment. Per questi motivi i balzi elettorali ottenuti da Alternative für Deutschland e dall’Alleanza per Sahra Wagenknecht in Germania dell’Est, potrebbero ripetersi nella parte occidentale del Paese. Anche perché tutti sanno che non sarà l’Europa, ma solo la Germania che potrà trovare la via per superare questa crisi.