La giustizia di Berlusconi

Piero Ostellino
14.04.2011 06:30

di PIERO OSTELLINO - Se il centrodestra non avesse associato al disegno di legge (ddl) sul «processo breve» anche la riduzione dei termini di prescrizione, soprattutto per gli incensurati nei processi di primo grado, forse non ci sarebbe stata, in Parlamento, ragione alcuna per un dibattito che ha infuocato la politica italiana. Nessuno, non solo in Italia, ma ovunque nel mondo, può ragionevolmente desiderare che i processi durino quanto durano (duravano) oggi in Italia. In ogni Paese di civiltà del diritto, la durata di un processo non può andare oltre un certo tempo senza trasformarsi in un calvario per l?accusato, cioè in una sorta di pena preventiva prima che ne siano appurate, con una sentenza, la colpevolezza o l?innocenza. Non è un caso che i giuristi inglesi sostengano che, in Italia, si va in galera, da innocenti, in attesa di giudizio, e poi si esce, dopo la sentenza, anche se giudicati colpevoli. Ma andiamo con ordine. Il ddl sul «processo breve» stabilisce che la durata ragionevole dei processi di primo grado non superi i tre anni, oltre i quali va in estinzione, dal momento in cui l?azione penale è stata intrapresa dalla Pubblica accusa; i due in appello e un anno e mezzo in Cassazione. Il tempo di prescrizione, a sua volta, è di norma pari alla pena massima prevista più un quarto. Anche nel caso dei tempi di prescrizione non ci sarebbe nulla da eccepire di fronte alla loro riduzione; se quelli del processo si riducono, è del tutto logico si riducano proporzionalmente anche quelli di prescrizione. La giustizia non può pretendere che un individuo sia processato troppo più a lungo della pena prevista o perseguito a tempo indeterminato – nel qual caso la pena diventerebbe a vita – per un reato che non sia l?omicidio.Dicono, però, le opposizioni che l?emendamento sulla prescrizione a favore degli incensurati – che ne prevede la riduzione da un quarto a un sesto – innestandosi sul «processo breve» e riducendo di otto mesi il processo Mills, in cui è imputato Berlusconi, riduce anche i tempi di prescrizione, finendo col favorirlo e mettendo, altresì, a rischio anche i processi Parmalat e Cirio e altri ancora. In altre parole, il «processo breve», e l?emendamento conseguente sulla riduzione dei tempi di prescrizione, soprattutto per gli incensurati a processo di primo grado, sarebbero un trucco del centrodestra per salvare il presidente del Consiglio da una possibile (probabile) condanna al processo (Mills) per corruzione. Di qui la loro feroce opposizione. La vicenda – indipendentemente dai suoi aspetti tecnico-giudiziari – ha una morale. La riforma della giustizia, in Italia, non è, come dovrebbe essere, una oggettiva questione di civiltà del diritto, di adeguamento del sistema giudiziario italiano a quello degli altri Paesi di democrazia liberale, ma è diventata un caso che riguarda i guai giudiziari personali di Berlusconi, attorno ai quali finisce col ruotare nella cinica indifferenza di maggioranza e opposizione per le conseguenze che essa dovrebbe avere per il cittadino qualunque. Se, infatti, Berlusconi fosse uno statista dedito al bene comune, e non un imputato concentrato sui propri processi; se il centrodestra sapesse fare politica, invece di recitare la parte del coro a sostegno del tenore nell?opera «Io e Ruby», avrebbero entrambi già portato in Parlamento i tanti casi di mala-giustizia, chiusi con la formula «perché il fatto non sussiste», dopo che l?imputato di turno ha attraversato anni di peripezie giudiziarie e magari anche di carcere. Insomma, la maggioranza, preoccupandosi dell?«imputato qualunque», avrebbe, in un certo senso, giustificato persino le proprie iniziative parlamentari a favore dell?«imputato Berlusconi» e conferito legittimazione non solo alla riforma della giustizia ma, indirettamente, persino alle troppe leggi ad personam fatte approvare nel frattempo. A loro volta, le opposizioni non avrebbero potuto opporsi a una riforma della giustizia, necessaria e sacrosanta, solo nella speranza di far cadere il governo e far fuori il Cavaliere. Invece, con le polemiche oggi in corso, l?Italia ha scritto un?altra pagina farsesca della sua recente storia politica.