La Libia col senno di oggi

Ogni tentativo di dare luogo a un governo di unità nazionale non è finora riuscito. Nel contempo lo «Stato fallito» ha creato un vuoto di potere dove si è prontamente incuneato l'estremismo islamico
Gerardo Morina
Gerardo Morina
21.10.2015 05:05

di GERARDO MORINA - Quattro anni fa il leader libico Muhammar Gheddafi veniva trucidato dai ribelli che l'avevano braccato mentre tentava una fuga disperata attraverso una conduttura fognaria. Ricordiamo bene quelle immagini, crude e patetiche. C'e sempre un che di impietoso e di volutamente macabro che accompagna la morte dei dittatori, direttamente proporzionale all'odio che essi hanno suscitato in vita. L'uomo si fa regista della Storia e tenta di cambiarla con il sangue. Salvo poi, come nel caso di Gheddafi, chiedersi con preoccupazione se il ricorso al sangue sia stato un atto veramente risolutivo e migliorativo dello status quo.

È ovvio che ogni decisione è strettamente connessa alle circostanze del momento. Per quanto riguarda la Libia del 2011 tre furono i protagonisti della fine del colonnello. Il primo ruolo fu quello degli Stati Uniti, già allora però potenza riluttante dopo le guerre di Bush e più propensa a fare agire per procura la NATO e i suoi alleati, guidando l'intervento militare in Libia solo dal sedile posteriore, con la politica del «leading from behind». Gli altri due attori furono l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron, pronti a mostrarsi forti e decisivi sul piano militare, a vendicare anche per conto di Washington l'abbattimento dell'aereo Pan Am nei cieli di Lockerbie nel 1988 e a sfruttare l'occasione per rimarcare i propri interessi petroliferi in Libia, primo fra tutti quello di Sarkozy, interessato a sostituire l'ENI italiana con la francese Total nei pozzi di estrazione libici.

Il pretesto ufficiale degli attacchi militari fu il mancato rispetto da parte di Tripoli della Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che aveva istituito una zona di interdizione al volo sul Paese nordafricano. L'impeto degli attacchi portò con sé anche l'uccisione di Gheddafi, la quale andò però oltre lo scopo della Risoluzione, che era essenzialmente quello di tutelare l'incolumità della popolazione civile libica di fronte ai combattimenti in atto tra le forze lealiste di Gheddafi e le forze ribelli. Sta di fatto, comunque, che le potenze occidentali non esitarono un attimo di fronte alla possibilità di far fuori il leader libico. Salvo poi, quattro anni dopo, darsi, se non a veri e propri ripensamenti, almeno a più pacate riflessioni sull'opportunità e l'utilità del gesto, anche alla luce di quanto sta avvenendo in Siria, dove il presidente Bashar al-Assad è stato preso sotto tutela da Putin. E tanto più che la Libia del post-Gheddafi offre oggi uno scenario di caos, ben lontano dalla funzione risolutiva con cui l'Occidente aveva ammantato il suo intervento. Se la Libia odierna si presenta infatti come un «failed State», uno Stato fallito, è a causa di due motivi ben precisi.

Il primo motivo è che, fin quando fu al potere, Gheddafi cercò, attraverso la cooptazione del suo regime e un'opera di costante marginalizzazione, di ridurre la rilevanza socio-politica delle tribù libiche. Oggi si è invece tornati alla frammentazione del Paese, tutt'altro che unificato e retto da due Governi distinti, di cui uno solo legittimato internazionalmente. Ogni tentativo di dare luogo a un governo di unità nazionale non è finora riuscito. Nel contempo lo «Stato fallito» ha creato un vuoto di potere dove si è prontamente incuneato l'estremismo islamico, che non solo si sta insediando attraverso l'ISIS in territori strategici ma sta anche colpendo i campi petroliferi, provocando seri danni. Il secondo motivo più eclatante è che l'assenza di Gheddafi sta mettendo l'Europa alle prese con la più grande crisi degli ultimi decenni, quella dei migranti, che proprio dalla caotica Libia stanno penetrando nel continente europeo, facendo saltare tutti gli schemi consolidati. Un disastro su larga scala, di cui ci si accorge ora. Col senno di poi.