La narrazione e il falso amico

Le mode linguistiche son peggio delle peggiori mode nell’abbigliamento. Una parola si intrufola in sordina nel parlato e/o nello scritto, qualcuno la ripete, si attiva il tam tam, dilaga l’emulazione. Il peggio del peggio è l’emulazione di parole straniere malamente importate. In questo sport noi giornalisti siamo campioni. Anche di conformismo. Da qualche anno sono entrati nell’uso (ma sarebbe più appropriato dire: nell’abuso) due termini: narrazione e narrativa. Per i comuni mortali – né troppo stupidi né troppo intelligenti, come direbbe un ex collega – la narrazione è semplicemente l’azione del narrare o, nell’accezione più concreta, il racconto stesso. La narrativa è invece il genere letterario che include le opere in prosa (romanzo, novella, racconto) e che si distingue quindi dalla poesia; ed è anche l’insieme delle opere narrative di una lingua, di un periodo, di un movimento, di un autore (la narrativa ottocentesca, la narrativa verista, la narrativa pirandelliana). Tutto ciò rischia di diventare vecchiume linguistico. Dilaga sui giornali, alla radio, alla tv, sulla Rete, nel dibattito politico quello che gli addetti ai lavori definiscono un neologismo semantico, ossia una parola vecchia con un significato nuovo: la narrativa è oggi, sempre più, una “forma di comunicazione argomentata tesa a conquistare consensi attraverso un’esposizione che valorizzi ed enfatizzi la qualità dei valori di cui si è portatori, delle azioni che si sono compiute e si ha in programma di compiere, degli obiettivi da raggiungere” (Dizionario Treccani). La narrazione di Obama, quella di Trump, di Macron, di Salvini e compagnia cantante (pardon: narrante). Questi illustri politici non hanno scritto romanzi o racconti. Si limitano ad esporre le loro tesi, a raccontare le loro teorie. Si potrebbe anche chiudere un occhio sul termine (sui contenuti spesso è meglio tapparsi le orecchie). Sennonché molti preferiscono usare narrativa: la narrativa di Grillo, di Di Maio, di Matteo Renzi. Tecnicamente è un calco semantico sull’inglese narrative, che nella lingua di Shakespeare ha anche il significato sopra indicato. Rientra in tal modo tra i cosiddetti falsi amici, cioè le parole (di lingue diverse) che hanno morfologia e fonetica uguali o comunque simili ma significati differenti (esempio: very e vero, competencia e competenza). Dice il proverbio: “Dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io”. Aggiungiamo: dai falsi amici ci guardi la grammatica. Narrazione? Narrativa? No: propaganda. Chiamiamo le cose con il loro nome. Tanto più che nella retorica classica la narrazione era l’esatto opposto della propaganda, essendo «la parte dell’orazione che seguiva all’esordio e serviva all’esposizione obiettiva del fatto». I fatti veri, non quelli alternativi.