Pensieri dal battellino

La tassa del fallo

Sul battellino siamo contenti che la «tassa del fallo» sia stata sepolta perché persino un’eco-radical-chic come Asia ha sempre pensato che l’invenzione avesse soprattutto lo scopo di salassare i ticinesi
Bruno Costantini
19.10.2024 06:00

Uella, Claudio Zali parla come i bevitori di Pampero nei peggiori bar di Caracas! Così ha esclamato Asia che in un pomeriggio di noia autunnale s’è messa a guardare sull’iPad la seduta del Gran Consiglio mentre con il battellino eravamo impegnati in una serie di traversate per recuperare decine di bottiglie vuote di Barbera fatto col mulo. La mia amica microinfluencer del lago e content creator ha fatto finta di indignarsi, ma sotto sotto era divertita per lo sfogo del consigliere di Stato leghista davanti al Parlamento che stava per seppellirgli senza prete la tassa di collegamento. Si può capire il furore che ha portato il ministro a sbarazzarsi di inutili perifrasi: «Avrei preferito mi si parlasse con franchezza, dicendomi: Zali, la tua tassa del fallo non ci piace. E soprattutto non piace ai grandi generatori di traffico di cui tuteliamo gli interessi. Non abbiamo mai capito come hai fatto a farla bere al popolo nel 2016. E finora non avevamo i numeri per abrogarla.

Ma dopo le elezioni del 2023, con un po’ di Lega in meno e un po’ di UDC in più, ci siamo contati e ora i numeri li abbiamo». Passerà alla storia come il discorso sulla «tassa del fallo» (un simbolo ricorrente ultimamente in Ticino, l’ha usato anche il presidente del Tribunale penale) e suggello del bacio della morte tra Lega e UDC che ha comunque permesso di rieleggere lo stesso Zali. Sono le contraddizioni dell’iperconsociativismo. Sul battellino siamo contenti che la «tassa del fallo» sia stata sepolta perché persino un’eco-radical-chic come Asia ha sempre pensato che l’invenzione avesse soprattutto lo scopo di salassare i ticinesi, tuttavia per niente ci è piaciuto il metodo di spazzar via una decisione popolare senza passare nuovamente dal popolo. È poi il colmo che il vituperevole raggiro sia stato ordito dai paladini dei diritti popolari democentristi.

Lo Zali imbufalito ha però detto anche altro: «Goccia dopo goccia, una sceneggiata alla volta, state contribuendo alla metamorfosi di questa sfortunata legislatura in un unico grande esercizio di delegittimazione delle istituzioni». La questione è interessante. Chi delegittima chi? Una decina di giorni fa su La Regione l’ex consigliere di Stato socialista Pietro Martinelli, scrivendo sulla Giustizia, ha affermato che la situazione e il malessere attuali sono anche la conseguenza di oltre trent’anni di «sistematiche picconate assestate dal Mattino della domenica – che non è (più) il giornale della Lega! – nei confronti dell’immagine del nostro Stato e di chi lo rappresenta». Precisato che al Tribunale penale hanno fatto tutto da soli per screditarsi, ci sarebbe da ricordare una certa responsabilità collettiva che ha favorito la nascita di taluni fenomeni. Molti nell’ombra si rivolsero al padre-padrone della Lega per condurre campagne, consumare vendette, abbattere nemici politici, compiere operazioni di delegittimazione, pensando di essere dei gran furboni e di usare il Nano, quando in realtà fu il Nano a usare loro creando le basi per l’odierna Lega «poltronesofà» che s’è ben accomodata nel sistema (s)partitocratico. «L’è tüta ’na mafia», ha tagliato corto Asia. Ma scherziamo? Mi distanzio da queste parole scellerate. Benché il fumantino trozkista Matteo Pronzini, indefesso picconatore, sia stato assolto dall’accusa di aver ingiuriato i municipali di Bellinzona per aver parlato di «intimidazioni di stampo mafioso», è meglio essere prudenti. Anche sul battellino teniamo famiglia.