La tremarella non è mai in esclusiva

L'EDITORIALE DI GIANNI RIGHINETTI
Gianni Righinetti
23.11.2018 06:00

di GIANNI RIGHINETTI - In casa PPD l'idea della prima ora, la tanto contestata decisione della Commissione cerca per il quintetto in corsa per il Governo, è coincisa con il parere democraticamente espresso dal Comitato cantonale, l'organismo chiamato a decidere, mentre il Congresso sarà solo deputato ad applaudire (a dipendenza del gradimento soggettivo) i singoli candidati. In questo senso la chiara voglia di cambiamento espressa dal gremio coordinato da Marco Passalia e il rifiuto di considerare degli «ex» per guardare verso il futuro si è dimostrata pagante e seguita senza esitazione dall'affollato parlamentino PPD. È stata data luce verde a Raffaele De Rosa (222 voti), Alessandra Zumthor (202), Elia Frapolli (194), Paolo Beltraminelli (177) e Michele Rossi con un solo voto di scarto, a quota 176. A rimediare una magra figura è per contro stato il parlamentare di lungo corso e già presidente del partito Fabio Bacchetta-Cattori votato solo da 104 delegati del partito. Al locarnese è stata fatale l'ostinazione nel voler fortemente esserci, sfidando l'anagrafe e la logica di un partito che non vuole guardare indietro. A indicare chiaramente quale doveva essere la via da imboccare era stato quello stesso Comitato cantonale nel dicembre del 2016 quando aveva nominato, anche in quel caso a scrutinio segreto, Fiorenzo Dadò alla presidenza e non il navigato Filippo Lombardi. Oggi come allora la bocciatura del passato a vantaggio di un orientamento un po' fuori dagli schemi è netta e chiara. Anche se nessuno potrà mai sapere se la presenza di Giovanni Jelmini, pure ex presidente e protagonista di un duello all'ultima scheda (296 i voti di scarto) nel 2011 nella corsa spalla a spalla con Beltraminelli, avrebbe modificato il quintetto promosso dalla base del partito. Il politico momò voleva esserci, ma prioritari motivi di salute lo hanno costretto a gettare la spugna. Ma a fare rumore è stato soprattutto il magro bottino raccolto da Beltraminelli. Lui ha preso sportivamente la fiducia ridotta emersa dal voto, affermando di essere motivato e pronto per la campagna. Il direttore del Dipartimento della sanità e della socialità è sempre positivo, il suo entusiasmo è conosciuto ed è stato il motore che gli ha dato vigore anche nei momenti più difficili di questo quadriennio. In particolare quando la tormenta del caso Argo1 lo ha chiamato in causa facendogli vivere mesi sulle montagne russe. Dai giorni bui per il mandato illegale che aveva in calce anche la sua firma, a giorni migliori che gli hanno permesso di sentirsi sollevato. Era stato il caso alla vigilia del Comitato cantonale, martedì, quando il procuratore generale Andrea Pagani aveva fatto sapere che non c'era stata corruzione o comportamenti penalmente rilevanti da parte di due ex funzionari del DSS. «Sono sollevato, è stato tolto un macigno» aveva dichiarato con il viso segnato da mesi di sofferenza. È vero che ora manca ancora il giudizio amministrativo e politico sul suo operato da parte della Commissione parlamentare d'inchiesta, ma il macigno era soprattutto penale e le conseguenze politiche. In teoria una tempistica più felice per Beltraminelli era difficilmente immaginabile e la doccia del quarto posto è stata ancora più ghiacciata. Non essere particolarmente amato dai propri, non è ancora sinonimo di bocciatura elettorale il 7 aprile 2019. Beltraminelli ha sempre felicemente pescato consensi in maniera trasversale, ma oggi più che mai, l'insidia è molto presente: «Se non ti votano i tuoi, perché dovremmo farlo noi?» si potrebbero chiedere gli elettori di altri partiti. L'incognita elettorale è un po' il sale che ogni quattro anni mette un po' di gusto alla politica e che fa dibattere. D'altronde la tremarella non è mai in esclusiva: il PS ha ammesso di avere «paura» di perdere il seggio di Manuele Bertoli, ma anche nella Lega se Norman Gobbi si è adoperato tanto per stringere l'alleanza con l'UDC non era un caso. Diversi i colori, medesimo il sentimento.