L’arte del narghilé

La chiamano «shisha». Si chiama narghilé, narghile o arghile. La definiscono un passatempo: per quanto mi riguarda è un’arte. La ritengono dannosa: per quanto mi riguarda è salvifica. «D’altronde, si può forse vivere senza vizi?» si interrogava un filosofo «greco» come Umberto Galimberti. E si può forse ritenere la più soporifera e rilassante delle invenzioni un semplice passatempo?
Il narghilé (o «shisha») è in effetti un’invenzione che trascende il mero dato del piacere per il fumo. In un certo senso lo si potrebbe definire un principio filosofico. Laddove un comprensibile e rispettabile salutismo lo condanna, un convinto epicureismo lo assolve infatti con formula piena. Non fosse perché questo semplice oggetto, già in uso in epoca ottomana, produce in chi ne fa uso quello stimolante alla «felicità» che un immunologo chiamerebbe endorfina.
«Fumare fa bene» dice uno spregiudicato personaggio di DeLillo. E se è evidentemente falso dal punto di vista medico, è assolutamente vero fino al momento in cui deve intervenire la medicina per smentirlo.
Ma appunto qui non si tratta di celebrare un agente patogeno, bensì di intenderne il significato nel quadro del suo mondo, il mondo mediorientale. La «shisha» racconta un modus vivendi che l’Occidente ha abbandonato dai tempi dell’Elogio dell’ozio di Bertrand Russell. I nostri caffè e i rispettivi banconi da «pre-ufficio» sono i luoghi della fretta, dell’urgenza, mentre le cafeteriat «orientali» sono i templi dell’attesa e della meditazione. Una «shisha» può durare un’ora e mezza: quanto basta per pensare all’universo, per redigere un articolo o un capitolo di romanzo, per fare i conti con il proprio passato e per ragionare sui misteriosi versi di Adonis. Un espresso dura tre minuti: quanto basta a pensare che l’ufficio ha già aperto i battenti.
Ma se la «shisha» è una sorta di maestro sufi per le tue sedute di raccoglimento, è anche un tributo all’artigianato e forse all’arte. O cosa distingue infine il genio di chi ha infilato un tubo in un vaso colmo d’acqua, un altro l’ha portato alla bocca esultando «Fumo fresco, fumo pulito!», da chi ha ideato la prima navicella spaziale? In fondo sono solo due modi distinti di andare in orbita. E ogni minimo sbaglio può pre-giudicare l’impresa: una «shisha» come Allah comanda è infatti sempre un equilibrio di acqua, carbone, carta stagnola, tubi e valvole riuniti nello stesso miracolo che rese possibile lo Sputnik. Sottovalutare uno qualsiasi di questi elementi potrebbe vanificare ogni estasi.
Meditate, voi che in attesa di essere sani in eterno compromettete l’eternità che precede il pentimento del fumatore.