Il commento

L’automobile, il divieto UE e il coraggioso passo indietro

L’industria automobilistica è in crisi in tutta l’Unione Europea, dove la produzione di autovetture, crollata tra il 2019 e il 2022, si è poi ripresa soltanto in parte nel 2023
Robi Ronza
Robi Ronza
22.10.2024 06:00

Nel primo semestre 2024 Stellantis ha fabbricato in Italia il 29,2% di auto in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Nello stabilimento di Cassino (Lazio) si è passati da 30.006 vetture prodotte nel primo semestre del 2023 a 18.375 nel 2024; a Melfi (Basilicata) da 99.085 nel 2023 a 56.935 nel 2024; a Torino-Mirafiori da 52.000 a 18.500.

Tenuto conto che dagli stabilimenti di Stellantis, erede della Fiat, esce la quasi totalità delle auto prodotte in Italia, ciò equivale a dire che è in crisi l’intera industria automobilistica italiana. L’unico altro attuale produttore italiano di normali autovetture è infatti DR Automobiles, 500 impiegati e 2,86% del mercato nazionale nel 2023, fondata nel 2006 nel piccolo comune di Macchia d’Isernia (Molise) da un ex-venditore locale di auto Fiat, che monta vetture cinesi adattate alle esigenze del mercato europeo.

L’industria automobilistica è d’altra parte in crisi in tutta l’Unione Europea, dove la produzione di autovetture, crollata tra il 2019 e il 2022, si è poi ripresa soltanto in parte nel 2023. In questo quadro, la situazione tuttavia è particolarmente preoccupante per il caso dell’Italia dove da un lato tale industria ha un peso fondamentale, ma dall’altro è in mano a un gruppo multinazionale, appunto Stellantis, il cui centro di gravitazione è ormai altrove.

Non da oggi Stellantis sta disinvestendo in Italia dove dal 2014 si è liberata di 11.500 lavoratori, e nell’anno in corso conta di concordare l’esodo di altri 3.500. I suoi stabilimenti italiani, che si stima abbiano una capacità di produzione complessiva di un milione di veicoli all’anno, vengono sempre meno utilizzati. La ragione addotta dall’azienda è che in Italia produrre auto costa troppo. Stando così le cose sia Stellantis che i sindacati, invece di affrontare il problema, trovano comodo avanzare l’idea dei sussidi statali al settore: una soluzione economicamente malsana e inoltre oggi poco praticabile.

All’origine della crisi c’è anche una situazione mondiale mutata che l’Unione Europea ha affrontato nel modo peggiore. Facendo propri gli obiettivi conclamati da un ambientalismo «verde» astratto e ideologico la Commissione Europea stabilì che dal 2035 in avanti non si possono più immatricolare nell’UE auto a motore endotermico. Stabilì cioè - andando al di là dei suoi compiti di organo politico - non un limite di emissioni nell’atmosfera, bensì il bando di un certo tipo di tecnica. L’industria automobilistica europea si vide perciò costretta ad abbandonare ogni ricerca se non quella per lo sviluppo dell’auto elettrica, campo nel quale l’Europa era ai primi passi mentre la Cina risultava già molto avanzata. Nonostante colossali investimenti l’industria europea non è però riuscita finora a raggiungere la Cina, le cui auto elettriche continuano a costare molto meno di quelle europee. Di qui l’idea di proteggersene imponendo dazi specifici con il rischio di avviare una guerra commerciale con Pechino.

Che fare? La cosa più logica sarebbe quella di annullare il divieto dei motori endotermici dal 2035, e sostituirlo con l’introduzione di un limite di emissioni ridando così spazio alle ricerche sulla riduzione di emissioni di tali motori, che avevano già raggiunto grossi risultati (ad esempio i motori diesel euro 7 con emissioni quasi pari a zero). Fra l’altro ci sarebbe da tener presente che le auto elettriche non sono proponibili nei Paesi meno sviluppati, grande mercato di sbocco delle auto usate europee; ciò provoca una caduta del valore dell’usato che va ad aumentare il costo per l’acquirente, già elevato, dell’auto elettrica successiva alla prima.

Annullare il divieto di nuove immatricolazioni di auto a motore endotermico dal 2035, sostituirlo con l’introduzione di un limite massimo delle emissioni e restituire ai consumatori la libertà di scelta tra auto a motore tradizionale, auto ibride e auto a batteria elettrica: sarebbe questa, dicevamo, la decisione più logica. Avrà però la classe politica europea il coraggio di farlo ammettendo così di essersi clamorosamente sbagliata?