L'opinione

Le donne, la violenza e la fatica del domani

A volte ci vuole tempo per chiedere aiuto, prevalgono confusione, stigma e vergogna, hanno l’anima bucata e non se ne rendono conto subito
Angela Andolfo Filippini
26.11.2024 06:00

Nel mio lavoro di psicoterapeuta specializzata nel trattamento del trauma, incontro donne e ragazze che hanno subito violenza carnale. Stupro. O che sono state pestate. Violenza domestica e dintorni.

Quando va bene, arrivano mandate dall’Ufficio di Aiuto alle vittime, al quale si sono rivolte e dal quale ricevono assistenza sia sociale che legale. Oppure arrivano da sole perché stanno troppo male, anche da molto tempo. Eh sì, a volte ci vuole tempo per chiedere aiuto. Prevalgono confusione, stigma e vergogna. Hanno l’anima bucata e non se ne rendono conto subito. Hanno voglia di morire, qualcuna ci ha anche provato. Si sentono sporche, sole, perse, sbagliate. Non dovrebbero essere loro a sentirsi così, invece accade.

Quello che ho riscontrato come fil rouge nei loro racconti è che spesso la violenza, da parte di una persona di cui si fidano, un amico o il partner, le coglie di sorpresa. La donna non se lo aspetta. Non è pronta a difendersi perché non capisce cosa stia succedendo. Alla sorpresa seguono la confusione e la paura. E non riuscendo né ad attaccare né a fuggire, la donna si paralizza e si sottomette. È una questione di sopravvivenza. L’orrore si compie. A volte per sopravvivere queste donne si dissociano, la psiche si mette in una modalità per cui «si va altrove». Il corpo è là. Quel che resta di loro va in un altro posto, al «sicuro».

Dopo c’è la vergogna. Lo stigma. Ma soprattutto la colpa. Non ne ho incontrata nessuna che non si sia sentita in colpa. Pensando di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver indotto l’aggressore con qualche comportamento inappropriato. Seguono le distorsioni cognitive. «Se avessi… avrei potuto…» come in un tentativo di riavvolgere il nastro, cercando scappatoie, dicendosi che non è avvenuto. Queste donne diventano ancora più vulnerabili sia fisicamente che psicologicamente, sviluppano una generale difficoltà a difendersi. La generalizzazione colpisce spesso tutto il genere maschile, pensando, a torto, che tutti gli uomini siano uguali. Si tengono lontane da nuove relazioni, perché non si fidano più. La vita affettiva può essere compromessa. Pagano due volte. È difficile accompagnarle alla denuncia, per il rischio di esposizione e di rivittimizzazione. Spesso hanno solo voglia di «chiuderla lì».

È una fatica enorme riprendere in mano il quotidiano. Gli incubi notturni, i flashback, l’ipervigilanza continua che le fa sentire costantemente in pericolo, il crollo dell’autostima.

In Svizzera, come nel resto del mondo, sono in aumento i casi di violenza di genere e di femminicidio. Ci confrontiamo con un profondo problema culturale legato alle relazioni fra i generi, allo smarrimento dell’identità maschile, a una cultura della violenza e della morte. Uomini come moderni Centauri, nei quali prevale l’assenza di eros e di passione. Un maschio emotivo, aggressivo e competitivo. Anche loro hanno bisogno di aiuto. Come sempre, come società, interroghiamoci dove mettiamo il peso e investiamo le risorse.

Angela Andolfo Filippini, membro di Direzione PS Lugano