Le due intelligenze: quella artificiale e quella umana
Se un allievo chiede aiuto a ChatGPT per scrivere un tema, poi non imparerà mai a formulare un testo decente? Possibile. E la tentazione è grande, basta scaricare la app e chiedere: «Scrivimi due pagine su questo argomento». E in due-tre secondi ecco il testo, in genere ben fatto. Ma allora, anche usando una calcolatrice si corre il pericolo di non capire la matematica? Ovviamente no. Ma nel caso dell’intelligenza artificiale non è così chiaro se delegando ricerca, ragionamento e formulazione davvero non si rischia di impigrirsi oltremisura.
Comunque, sorprendono le decisioni di due nazioni, la Svezia e la Corea del Sud, rispettivamente al settimo e sesto posto tra i paesi più competitivi e sviluppati in tema di digitalizzazione. In Svezia hanno bandito gli smartphone dalle aule scolastiche. Si ritorna a carta e penna. E in Corea il progetto di eliminare libri e quaderni, dare ad ogni bambino a partire dagli otto anni un tablet con applicazioni intelligenti per l’insegnamento personalizzato ha incontrato una forte opposizione. Il governo coreano afferma che l’economia ha molto bisogno di giovani pronti a programmare e muoversi con disinvoltura nel mondo dell’intelligenza artificiale. Ma i genitori la pensano in altro modo e temono che i loro figli stiano incollati allo schermo senza più tregua e perdano contatto con il mondo reale.
In Svizzera siamo altrettanto competitivi digitalmente, al quinto posto, ma anche giustamente pieni di dubbi. Prima di tutto perché non è affatto detto che essere incalzati costantemente da un software intelligente permetta di imparare meglio. Un robot che dice costantemente all’allievo cosa imparare, trova le lacune, propone esercizi, tratta diversamente chi apprende lentamente da chi va più veloce potrebbe anche dimostrarsi opprimente. Noi tutti abbiamo imparato tanto anche se non eravamo sempre tallonati, ben contenti che il docente ci dimenticasse per qualche attimo. La mente umana è capace di grande concentrazione ma apprezza lo spazio per vagare senza meta precisa. Proprio perché non siamo robot. A questo proposito un commento interessante. Ad un neuroscienziato è stato chiesto cosa pensasse dei tecnici che lavorano per creare sistemi di intelligenza uguali a quella umana. La sua risposta: «Oh bene, così sapremo finalmente come funziona l’intelligenza umana, perché finora ancora nessuno l’ha capito».
Così non è dimostrato che sostituendo il docente con programmi informatici personalizzati dia effettivamente migliori risultati. L’apprendimento ha molto a vedere anche con il rapporto sociale che si crea tra insegnante e allievo e tra gli studenti. Si impara meglio e velocemente quando esiste un rapporto di fiducia, di stima e comprensione. Ecco perché i corsi online funzionano solo in mancanza di alternative umane.
Ma è altrettanto urgente che gli allievi di oggi comprendano il più possibile cos’è e come funziona l’intelligenza artificiale. Per poter lavorare dove è ormai entrata a far parte della quotidianità, come ad esempio la sanità, i trasporti, la giustizia, la finanza o il commercio. Di certo i sistemi di intelligenza artificiale sono qui per restare e diventano più performanti ogni giorno che passa. È indispensabile che in molti capiscano cosa significa programmare, e abbiano uno sguardo il meno ingenuo possibile. Anche se le scuole, come in Svezia, decidono di tornare a carta e penna non possono tralasciare di parlare delle grandi opportunità dell’intelligenza artificiale, e di come occorra uno sforzo condiviso per garantire che lo sviluppo avvenga per il bene di tutti noi. Si, perché come hanno dichiarato al summit di Bletchley le maggiori economie, US, EU e Cina compresa, l’intelligenza artificiale presenta anche rischi catastrofici per l’esistenza umana. Nel farsi aiutare per i compiti non c’è niente di male, ma capire cosa succede è meglio.