Il commento

Le lacrime di una guerra non raccontata

Il conflitto ucraino ha molti volti, tutti ugualmente amari
Jenny Covelli
08.03.2022 06:00

Uomini tra i 18 e i 60 anni: vietato lasciare il Paese. La guerra è pure questo. Vuol dire che anche chi non ha mai visto un’arma deve darsi da fare per difendere la nazione. Che sia diventato nonno da poco o che ancora non rifaccia il letto la mattina. Ma, soprattutto, significa separarsi dagli affetti, dall’amore. Perché quella nipotina appena nata è meglio portarla fuori dall’Ucraina. Troppo pericoloso restare, anche se la culla è appena stata comprata. Significa salutare la mamma. E in quell’abbraccio si torna bambini, anche se legalmente la maggiore età è stata raggiunta. Negli ultimi dieci giorni ne abbiamo viste di ogni. Noi, per nostra fortuna, solo in fotografia. L’ultima in ordine di tempo è del fotogiornalista del Washington Post Salwan Georges. 5 marzo, Odessa. Georgiy Keburia saluta la moglie Maya e suo figlio alla stazione. Attraverso il finestrino appannato del treno si intravedono le lacrime. Il convoglio è diretto a Lviv, la località più vicina al confine polacco. Georgiy deve tornare a combattere contro le forze russe che hanno invaso il Paese. Maya è disperata. Lui appoggia le labbra sul vetro, come a darle un tenero bacio. Poi le mani. Anche se in mezzo ora c’è solo il freddo. Il treno parte. Georgiy si allontana. Ha il telefono in mano, illuminato. Forse ha già scritto a Maya «mi manchi». Si asciuga le lacrime. Sono immagini strazianti. Mamma nazione chiama. E Maya deve separarsi da Georgiy, è costretta a scappare, ad andarsene insieme a suo figlio. Chissà quali pensieri attraversano la sua mente. Chissà se lo rivedrà. Ma deve proteggere il loro bambino. È una sua responsabilità.

In un’altra città, poco più in là, Anastasiya passa gli ultimi secondi tra le braccia del suo fidanzato. Quando lo ha visto in ginocchio con un anello, dieci mesi fa, non si sarebbe aspettata una cosa simile. Invece ora è rimasta sola. Non ha parenti, non ha amici. Si incammina, segue la massa di persone diretta verso il confine. Nell’aria risuonano le sirene. C’è puzza di fumo e in lontananza si sentono delle esplosioni. Lei percepisce solo il vuoto dentro. Non riesce a pensare, vede nero. Avrebbe preferito imbracciare il fucile e andare a combattere con lui, verso un destino comune. Invece è una goccia in una marea umana che avanza all’unisono. Verso l’ignoto.

E come se l’orrore delle bombe non fosse abbastanza, se non fosse sufficiente separarsi da tutto, lasciare la propria casa, portare via solo lo stretto necessario, domandandosi se si è guardato negli occhi per l’ultima volta il papà, l’amico, il fratello, il marito… c’è un altro orrore. Denunciato dall’Unicef: «Abbiamo registrato che ci sono tante ragazze e tante donne che camminano da sole, in fuga da sole dall'Ucraina. Queste sono le prime vittime: ci arrivano notizie di violenze di ogni genere, anche di violenze sessuali. Bisogna proteggerle». La denuncia è stata lanciata dalla portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, Andrea Iacomini. Ma ne hanno parlato anche il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, e il presidente dell’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere, Sima Bahous. Vittime di una violenza non raccontata inflitta da soldati accecati dall’odio, dall’orrore, dalla puzza di sangue. Violenze sessuali commesse dai militari, di cui si erano già macchiati durante l’invasione russa della Crimea nel 2014, su cui la Corte penale internazionale aveva aperto un’inchiesta. Lo chiamano stupro di guerra. Viene usato come un’arma. Un crimine entrato a pieno titolo come strumento di guerra nel XX secolo, durante l’invasione tedesca del Belgio nel 1914. Una guerra che viene combattuta anche sul corpo degli innocenti. E che per molto tempo non ha ricevuto attenzione. Brutalità e prevaricazione. Un crimine perpetrato per spezzare la resistenza, infliggere dolore, umiliare, sterminare.

Anche in Ucraina, in questi giorni. Ma anche in Russia, dove c’è chi scende in strada per ribellarsi, fare sentire la sua voce. Con la consapevolezza che, nella migliore delle ipotesi, finirà in prigione. E non alla Farera, neppure alla Stampa. Senza più una vita, senza più un lavoro, senza più un futuro. Sono crimini di guerra. Che non risparmiano nessuno.

Ah… buona festa della Donna.

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