Regno unito

L’omaggio a Filippo il greco

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Gerardo Morina
Gerardo Morina
17.04.2021 07:54

Ah, il caro, adorato Alberto. Mai marito fu più affettuoso, mai sposo più ardente, mai padre più sollecito. Insomma, il ritratto che, quando morì nel 1861, la cugina nonché moglie Vittoria di Sassonia-Coburgo fece di colui che fino all’età di 42 anni e dopo aver contribuito alla procreazione di ben 9 figli, le rimase amorevolmente accanto, non è molto lontano dalla perfezione. Al punto che la stessa Vittoria non riuscì mai veramente ad elaborare un lutto che durò ben due anni. Alberto era tutto, si occupava di tutto: gestiva alla perfezione la Real Casa, fu consigliere privato dei primi ministri Gladstone e Disraeli, abbracciò cause come la riforma dell’istruzione e l’abolizione della schiavitù nel mondo, per personale diligenza ma anche per un sottaciuto desiderio di potere. Alberto non fu il più longevo principe consorte ma certamente il più solerte e il più attivo. Un primato che senza ombra di dubbio oggi oscura Filippo, principe consorte della regina Elisabetta II d’Inghilterra, già Philip Mountbatten, duca di Edimburgo, nato a Corfù come principe Filippo di Grecia e Danimarca, i cui funerali verranno celebrati oggi al Castello di Windsor.

Eppure, se una parte di inglesi protesta perché le immagini televisive della cerimonia andranno a discapito di altri programmi preferiti, la frustrazione dilaga tra coloro che una rigida selezione ha escluso dagli invitati alle esequie. Già, ma nell’omaggiare la sua salma, a quale Filippo rendono onore? Certamente a colui che, pur standole sempre due passi indietro, ha rappresentato un solido compagno di vita per una regina iperdinamica e che per questo fu costantemente alleggerita dalla sua semplice presenza. C’è un modo, soprattutto nella vecchiaia, di stare insieme anche quando si è soli,anche quando si dorme in ali opposte del palazzo e ogni mattina ci si guarda attraverso lo schermo sottile di un velo di marmellata alle arance. Smancerie poche, sguardi complici in abbondanza e in fondo è questo che finisce col contare di più. Basterebbe già, ma nel caso di Filippo c’è altro.

Si dice che con l’avanzare dell’età vi sia la tendenza a tornare alle proprie origini. Ora si sa che, sposando Elisabetta, Filippo rinunciò ai suoi titoli nobiliari greci. Eppure il suo DNA ellenico nel corso della sua vita è gradualmente affiorato, dando precisi connotati, non tutti positivi, alla sua persona. Dunque Philippos, etimologicamente chi ama i cavalli, ma anche chi dalla loro forza è affascinato e si fa trainare. Come Elio che guidava nel cielo il carro splendente del sole, Filippo eccelleva negli «attacchi», l’insieme di discipline sportive basate sulla guida di veicoli trainati da cavalli. Come chi si è specchiato nel Peloponneso, il principe Filippo si distinse nella Marina britannica. Ma dalla nativa Grecia Filippo assunse soprattutto una filosofia di vita. Nell’ideale dei suoi antenati stoici Filippo cercò il dominio sulle passioni («apatia») che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. In qualche modo, tra affermazioni non sempre politicamente corrette, gaffes spaventose e innumerevoli tradimenti, Filippo non rinunciò mai a dire ciò che pensava. Ma sempre rimanendo due passi indietro, dando la caccia alle iperboli e fondendo la sua apatia stoica con il concetto tipicamente britannico dell’«understatement», un distacco e una tendenza a ridimensionare le cose che non guasta in un’era di emotività.