Luther King e Lincoln le sue guide

di GERARDO MORINA - Oltre quattro anni di presidenza hanno fatto maturare Obama. L?hanno reso più sicuro di sé e del suo ruolo. La sua rielezione dello scorso novembre l?ha rassicurato sul filo diretto instaurato tra lui e quella parte della Nazione che condivide gli stessi principi e ideali. Il presidente non ha più il tono professorale di quando fu eletto per la prima volta, ha assunto l?aria più da proprietario che da inquilino della Casa Bianca, il suo linguaggio oltrepassa la «Capital Beltway» di Washington e supera i confini tra Stato e Stato. Certo il suo messaggio non ha più la freschezza del «new beginning» e del «Yes we can». La cerimonia pubblica del giuramento avvenuta ieri sulla scalinata del Campidoglio a Washington ha suscitato meno ovazioni del 2009 e meno entusiasmo rispetto alla sua luna di miele politica di quattro anni fa. Ma il suo «viaggio infinito» continuerà fino al 2016. Dipenderà da lui approfittarne e non lasciarsi piegare dalle difficoltà. Nella cerimonia di ieri a prevalere è stata la solennità del momento, con l?espressione di auspici che non hanno toccato da vicino le questioni politiche ed economiche irrisolte, temi dominanti del prossimo discorso sullo Stato dell?Unione previsto per il 12 febbraio. Obama ha giurato su due Bibbie, appartenute rispettivamente al presidente Abraham Lincoln e all?apostolo della lotta per i diritti civili Martin Luther King. Ad entrambe le figure, nonché alla Dichiarazione d?Indipendenza del 1776 espressamente citata a memoria («Noi consideriamo le seguenti Verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini siano creati uguali, che sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà e il Perseguimento della felicità») il presidente si è ispirato per illustrare il suo cammino. Il richiamo a Martin Luther King è nato dalle parole: «Ciò che unisce la nostra Nazione non è il colore della nostra pelle o l?origine dei nostri nomi, ma che tutti gli uomini sono creati uguali ed hanno diritti inalienabili», principio che Obama ha poi adattato alla realtà attuale dichiarando che «il nostro viaggio non sarà finito finché i nostri fratelli gay non avranno gli stessi diritti degli altri». Il presidente ha poi cercato di infondere speranza alla Nazione affermando che «un decennio di guerra sta finendo, le possibilità degli Stati Uniti sono senza limiti» e dicendosi sicuro che «la prosperità dell?America debba poggiare sulle spalle di una classe media in crescita». Più indiretto il richiamo a Lincoln, il presidente repubblicano (e non democratico come Obama) la cui figura è tratteggiata nell?ultimo film-kolossal di Steven Spielberg, di imminente arrivo nelle sale europee. Perché Lincoln non fu solamente il presidente che pose fine alla schiavitù, ma colui al quale viene riconosciuto il merito di avere nello tesso tempo preservato l?unità federale della Nazione. Se Lincoln si trovò a combattere contro gli Stati Confederati d?America, Obama si trova oggi a fronteggiare la dura opposizione dei Repubbicani che detengono la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti. Al presidente piacerebbe passare alla Storia come un «transformational president» che ha conseguito i suoi obiettivi nonostante la forte e costante guerra ingaggiata al Congresso. Tale è stato lo spirito che ha ispirato il suo primo mandato, un intento, poi dimostratosi solo teorico, di creare le prospettive di un dialogo bipartisan o «postpartisan». Oggi le circostanze non forniscono ad Obama la consapevolezza di essere in grado di garantire tale spirito. In lui è subentrata invece una robusta dose di realismo che, se da una parte lo costringe a rinunciare ad un certo idealismo, dall?altra non gli fa deporre le armi per le battaglie che intende ancora combattere. Le lotte, vinte a fatica come quelle sulla riforma sanitaria e l?accordo sul «fiscal cliff», presentano oggi un Obama parzialmente incanutito, ma finora non gli hanno ancora sottratto l?energia per ingaggiarne di nuove. Lotte che si chiamano controllo delle armi, immigrazione, energia, educazione, politica estera. Scogli insidiosi che nei prossimi quattro anni metteranno a dura prova lo scafo, già provato, della nave del presidente.