Maestri di oggi
Maestri? Che cosa ce ne facciamo dei maestri oggi, quando abbiamo a disposizione opinion-makers, influencers e bloggers di ogni genere, pronti a guidarci sia negli acquisti sia nella impostazione del nostro modo di vivere e di pensare? Ma chi è un maestro? Il costituzionalista italiano Gustavo Zagrebelsky lo definisce, nel suo bel libro «Mai più senza maestri» (Bologna, il Mulino, 2019), «colui che stando più avanti e più in alto nella salita, trae a sè; la guida da cui dipende l’ascesa». Il maestro in veste di guida alpina dunque, bella metafora: il maestro è chi sta in alto perché ha qualcosa in più (lat. magis), perché possiede l’autorità (da augere, aumentare) datagli da conoscenza, competenza ed esperienza che non è autoritarismo; quella che sulla nave hanno il capitano e il nostromo, nelle belle immagini sia di Platone sia di Friedrich Engels quando fanno ricorso entrambi alla metafora della nave per spiegare che autorità si collega a capacità.
Contano poi, per fare un/a vero/a maestro/maestra, la capacità di insegnare e di appassionare alla disciplina essendone appassionati, facoltà che gli studenti ritengono imprescindibile per fare di un insegnante un buon insegnante, di uno studioso un maestro. È un maestro insomma chi conosce la sua disciplina e la sa insegnare in maniera proficua e appassionata. Per avere un maestro (insegnante, professore, esperto, direttore, precettore) ci vogliono comunque i discepoli che riconoscono il maestro e ne seguono l’insegnamento globale o anche soltanto uno spunto, un suggerimento che si rivelerà importante per la vita pubblica e privata. Non deve in ogni caso il maestro – e qui il rimando è a Max Weber - appartenere alla genìa de «i profeti, i salvatori o i demagoghi» che salgono in cattedra per persuadere, giacchè il maestro non è il capo che indottrina, afferma Weber, ma il docente che spiega e che si dedica a far conoscere, a far comprendere, a far giudicare. Che insegna, in-segna, lascia un segno.
Succede però in Ticino che un insegnante del CPT di Mendrisio, Roberto Caruso, che riconosce me come Maestra (è stato mio studente all’USI, poi mio assistente, poi amico fraterno), ed è riconosciuto come Maestro dai suoi alunni, venga prima sospeso e poi licenziato ma non definitivamente e poi ancora sospeso (sic) per aver preso le loro difese. E questo con modalità ritenuta dell’autorità irrispettosa, e non esercizio del diritto di critica, come sostiene invece Caruso.
E nulla conta che il suo insegnamento sia momento di onestà, professionalità, trasparenza e illuminazione: come nella bella immagine dantesca ove Virgilio, rivolgendosi a Stazio nella funzione di maestro gli dice: «Facesti come quel che va di notte,/ che porta il lume retro e sé non giova,/ma dopo sé fa le persone dotte» (Purg. XXII, 67-69).