Il ponte-diga

Malcantone sarà lei

Il commento di Pietro Montorfani
Pietro Montorfani
Pietro Montorfani
13.07.2024 06:00

Una mosca che fosse entrata dalle finestre goticheggianti di Villa Alta di Novaggio la sera del 15 giugno scorso, per sfuggire alla pioggia che manco a dirlo stava sferzando anche quel giorno i pendii prealpini, si sarebbe trovata di fronte una scena assai curiosa: un mezzo centinaio di persone provenienti da Miami alla Germania passando per il Sud America e l’Italia, distribuite sull’arco di non meno di tre generazioni e tutte prese in amabili conversari. Minimo comune denominatore di questo manipolo di umanità festante, che per la cronaca si esprimeva in inglese, tedesco, italiano, spagnolo e in improbabili versioni intermedie, era l’appartenenza alla famiglia Buzzi-Cantone, ben nota a chi si occupi di cose malcantonesi.

Per capire come si sia potuti giungere a questa insolita rimpatriata intergenerazionale e intercontinentale bisogna fare un passo indietro, almeno fino al primo incontro dell’allora responsabile del Museo del Malcantone, il simpatico Bernardino Croci-Maspoli, e il capostipite Henry Griffin, discendente dei Buzzi-Cantone e grande appassionato della propria saga familiare. Se di passi indietro ne facciamo due, fino alla metà dell’Ottocento, vediamo sullo sfondo un giovane esule lariano (Giovanni Battista) che dopo avere combattuto nelle battaglie del ’48 aveva trovato riparo in Ticino, come molti liberali fuggiti in fretta e furia al ritorno degli austriaci.

Sposato a una Avanzini di Curio, docente nelle scuole comunali e poi professore di lettere al Liceo cantonale di Lugano - salvo venire epurato, nel 1877, quando al potere passarono i conservatori -, Giovanni Battista Buzzi-Cantone era anche un poeta capace, magari non eccelso, e però attento alla realtà del suo tempo, di cui divenne una sorta di cronista in versi. Non c’è stato quasi evento storico o culturale che non sia finito sotto la sua penna, dall’inaugurazione di un monumento pubblico (quello di Giordano Bruno in Campo dei Fiori) ai festeggiamenti per il tiro federale del 1888, dalla chiusura del «Credente Cattolico» alla morte di Vincenzo Vela. Le sue antenne, e i suoi versi, vibravano in accordo con le armoniche della propria epoca - ben inteso su tonalità di pura fede liberale, anticlericale e massonica, non prive comunque di un certo sentimento religioso.

Se oggi ci si interessa ancora a questa piccola figura di esule-poeta, come fa una recente pubblicazione promossa dal medesimo Museo del Malcantone, con contributi storici di Damiano Robbiani e Massimo Chiaruttini e alberi genealogici di Roger Nava e Fabio Gambazzi (ma qualcosa ha fatto anche chi scrive), è soprattutto per la luce proiettata a ritroso dal figlio Fausto, medico di caratura europea, attivo in Germania presso pazienti del livello di un Alfred Krupp, un Otto von Bismarck o lo stesso Kaiser Guglielmo II. Ritornato brevemente a Novaggio, negli ultimi anni di vita il dottor Buzzi costruì la villa nel cui parco sarebbe sorta, dopo mille peripezie, l’attuale clinica riabilitativa.

C’è da sperare che, fatto il padre, si approfondiscano le ricerche anche sulla personalità del figlio, davvero una figura maggiore tra le molte cui ha dato i natali il Malcantone, discendenti di immigrati compresi. La regione, si sa, avrà anche un nome impervio, ma può vantare un pedigree di prim’ordine, a iniziare da quel Domenico Trezzini al quale, sullo scorcio del XVIII secolo, fu concesso di disegnare la nuova città di San Pietroburgo. Non ho idea di quanto viva una mosca, ma se un antenato dell’insetto di cui sopra si fosse trovato a Curio nel novembre del 1994, al vernissage della mostra dedicata al Trezzini, avrebbe potuto posarsi sulla spalla del sindaco di San Pietroburgo, Anatolj Sobčak. Sempre meglio di quella del suo assistente personale, tale Vladimir Putin, in quell’occasione assente per altri affari. Poi dicono che nella Svizzera italiana non succede mai nulla.