Napolitano e la sovranità calpestata

di MARCELLO FOA - Per una volta non sono d?accordo con Piero Ostellino, che ieri sul «Corriere del Ticino» ha giudicato irrilevanti gli scoop del giornalista americano Alan Friedman, secondo cui il presidente Napolitano avvertì Mario Monti di prepararsi a guidare l?Italia molti mesi prima delle dimissioni di Berlusconi. Come ho già rilevato in altra sede, se si considerano le logiche della comunicazione e la strana epoca in cui viviamo, segnata dalla continua erosione dei poteri e della rappresentatività dei partiti e più in generale della sovranità degli Stati, il quadro cambia. E non di poco. Gli scoop non sono tutti uguali. Alcuni pesano più di altri. Dipende chi li fa e quando escono. Napolitano in queste ore evoca Di Pietro. Ricordate? Il leader dell?Italia dei valori è caduto, ha perso improvvisamente ogni credibilità, sparendo dalla scena politica, quando «Report» di Milena Gabanelli andò a frugare tra le casse e gli statuti del partito. E cosa scoprirono i cronisti di «Report»? Nulla che non fosse già noto. Tutto già uscito, anzi urlato da molti giornali. Solo che detto dalla Gabanelli, ovvero dalla più famosa e più temuta giornalista d?inchiesta, aveva un altro peso. Non era una denuncia, ma una sentenza ovvero era la conclamazione mediatica di una situazione indifendibile. E d?incanto anche i giornalisti simpatizzanti di Di Pietro, a cominciare da Santoro, lo mollarono. Ora tocca a Napolitano. Le accuse che sono emerse nelle ultime ore sono nuove? Niente affatto. «Il Giornale» le denunciò in tempo reale e un quotidiano come «La Stampa» ne parlò in un prudentissimo ma preciso retroscena. Chi, come Ostellino, ora parla di «non scoop» tecnicamente ha ragione. In realtà torto: perché se lo scrive Alan Friedman, ovvero un giornalista anglosassone tutt?altro che ostile all?establishment, con il supporto di interviste a Mario Monti, Carlo De Benedetti, Romando Prodi – videoregistrate e dunque non equivocabili – e con la vetrina simultanea di due grandi testate come il «Corriere della Sera» e il «Financial Times», la notizia prende un altro peso e, come avvenuto con Di Pietro, diventa una verità; non più un sospetto, ma un fatto mediaticamente incontestabile. Le leggi della comunicazione sono inequivocabili e ben note. Lo scandalo c?è ed è colossale. Sa di licenziamento. Già, ma per mano di chi? Del Parlamento e del popolo italiano? Macché, questa è democrazia e la democrazia, si sa, non è più di moda. Il vero potere risiede altrove – nell?establishment europeista e transnazionale – e si esercita in altre maniere, meno desuete, eppure molto efficaci, in quanto fondate non sul consenso elettorale, bensì sul controllo delle leve che determinano il destino dei popoli e dei Paesi. Dunque: la moneta, il debito pubblico, la possibilità di imporre leggi al di sopra dei Parlamenti nazionali e di dettar legge attraverso organismi sovranazionali, naturalmente privi di sovranità popolare. Non è questo il mondo in cui viviamo? Un mondo in cui i governi non hanno quasi più poteri, i parlamenti non riescono a legiferare e in cui la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e naturalmente l?Unione europea hanno poteri soverchianti? Vale in primis per l?Italia ma, se ci pensate bene, anche per la Svizzera, sempre meno libera di decidere autonomamente il proprio destino. La sensazione, sgradevolissima ma temo veritiera, è che la vicenda di Napolitano sia «cosa loro» ovvero che risponda a logiche e modalità che sfuggono al comune cittadino e che finiscono per ingannare anche quei politici che, avendo capito dove risiede il vero potere, lo corteggiano nella speranza di essere cooptati. E alcuni ci riescono. Giorgio Napolitano, naturalmente. Ma anche Gianfranco Fini, la cui svolta antiberlusconiana si manifestò dopo la sua partecipazione alla Convenzione europea, a inizio del Duemila. Lì l?uomo di destra capì chi comandava davvero. E svoltò, rinnegando se stesso e diventando strumento nella lotta contro Berlusconi, uno che l?élite non ha mai sopportato. Giorgio Napolitano ha seguito lo stesso percorso. Leggendo Il tramonto dell?euro di Alberto Bagnai, troverete riportato un bellissimo discorso in Parlamento in cui Napolitano prevedeva, con straordinaria lungimiranza, le devastazioni che avrebbe provocato la moneta unica. Poi, però, Napolitano divenne europarlamentare. E la sua visione cambiò drasticamente. Di quell?uomo oggi non c?è più traccia. Come Gianfranco, anche Giorgio pensava di essere arrivato, di appartenere a pieno titolo alla super élite transnazionale. Entrambi si sentivano intoccabili; non capivano, però, che le logiche di quell?establishment sono diverse da quelle dei partiti, che le loro leggi, non scritte, sono implacabili e, soprattutto, che non tutti i membri sono uguali. Al suo interno c?è chi conta di più (come Draghi) e chi di meno (come quasi tutti i politici italiani); chi sa e chi non sa; chi viene cooptato nel girone divino e chi, pur partecipando, resta ai margini. Ecco, Napolitano apparteneva alla seconda categoria. E ora che non serve più o forse semplicemente perché ha deluso, viene abbandonato a se stesso. Con modalità che sono proprie di quegli ambienti e della moderna comunicazione, usando come sicario un giornalista americano, che di nome fa Alan e di cognome Friedman.