Il commento

Non abbiamo i soldi, va rivalutato il risparmio

Qualsiasi capofamiglia che alla fine dell’anno si trova ad aver speso più di quanto guadagnato sa di avere un problema
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
26.07.2024 06:00

Qualsiasi capofamiglia che alla fine dell’anno si trova ad aver speso più di quanto guadagnato sa di avere un problema. Eccezionalmente si potrà far ricorso a qualche risparmio disponibile, o, purtroppo, si dovrà accendere un debito, ma la soluzione per ottenere l’equilibrio risiede solo nell’aumentare le entrate o ridurre le uscite. Ciò che vale per ogni famiglia vale anche per gli Stati. E qui la situazione non può che preoccupare. Per gli Stati europei, se prendiamo i criteri fissati al tempo dell’introduzione dell’euro (indebitamento non superiore al 60% del PIL e possibile deficit annuale che non superi il 3%) constatiamo che le nazioni più importanti dell’UE dalla Germania, alla Francia, Italia, Spagna hanno tassi di indebitamento superiori, con punte oltre il 130% e a quel livello si situano pure gli USA.

Per quanto concerne il deficit pubblico, che non dovrebbe superare annualmente il 3%, per il 2023 la Commissione Europea si è vista obbligata ad avviare il procedimento per deficit eccessivo nei confronti di Francia (che da oltre 10 anni non chiude più un bilancio in pareggio), Italia, Polonia, Belgio, Ungheria, Slovacchia e Malta.

Rispetto a questo quadro la Svizzera sta molto meglio con un indebitamento pari al 38,3% del PIL. Però nel 2023 abbiamo chiuso anche noi i conti in rosso con un deficit di finanziamenti di 1.2 miliardi di franchi, giustificato in parte dall’impatto eccezionale originato dall’uscita di 1.1 miliardi di franchi per le persone in cerca di protezione provenienti dall’Ucraina. Fortunatamente vi è stato l’aiuto dei contribuenti che tra imposta federale diretta e imposta preventiva hanno versato alle casse federali 5.7 miliardi di franchi in più del previsto.

Questa nostra invidiabile situazione è anche il risultato del nostro sistema, siamo un Paese, unico al mondo, nel quale il popolo, grazie alla democrazia semi diretta, può cercare di frenare politici spendaccioni e disponiamo di una clausola costituzionale, che di questi tempi alcune forze politiche cercano di indebolire, che pone freno alle spese.

Ma anche da noi l’assalto alle casse statali è continuo e insidioso. Distribuiamo annualmente più di 48 miliardi di franchi in sussidi e uno studio analitico dell’IWP (Institut für Schweizer Wirtschaftspolitik) ha permesso di constatare come molti di questi sussidi non siano certo indispensabili e alcuni abbiano più l’aspetto di regalie a gruppi con influenza sui politici.

Il vero male maggiore, e di conseguenza la tendenza a sempre maggiori uscite, è lo “statalismo” ormai diffuso. Per ogni motivo si vorrebbe ricorrere all’intervento dello Stato spesso non preoccupandosi del costo relativo e ancor meno della copertura finanziaria. Esempio lampante la 13.a AVS versata indiscriminatamente anche a chi non ne ha assolutamente bisogno. Le FFS chiedono 18 miliardi di investimenti, richiesta criticata dall’ex direttore generale Benedikt Weibel. Le Università vogliono più soldi per l’indispensabile ricerca, i contadini chiedono maggiori sussidi, per l’armata, forse trascurata per anni, si chiedono 10 miliardi e ci auguriamo gli acquisti non siano per concezioni belliche e armi superate, la guerra essendo ormai cibernetica, si moltiplicano i sussidi per gli impianti per l’energia rinnovabile, la cultura, la sanità, le costruzioni per la ricezione degli immigrati, gli aiuti ai Paesi emergenti chiedono finanziamenti.

L’elenco è ovviamente incompleto e l’analisi ci permetterebbe di dimostrare come senz’altro si possa spendere meno e meglio. Ma esiste nei politici la volontà? Si può ottenere pure l’equilibrio di bilancio riuscendo a produrre di più. Purtroppo anche questo non è facile. Innanzitutto nella società si è diffusa una generale avversione verso i produttori di ricchezza, che non sono esenti da responsabilità, ma sono oltretutto di gran lunga i maggiori contribuenti. Il professor Angelo Rossi, uno dei maggior competenti, ci ricorda che il tasso annuale di crescita dell’economia mondiale, che è stato ai tempi del 5%, non ha fatto negli anni che decrescere e oggi siamo sotto al 2%. Quale conseguenza, invece di raddoppiare il livello di benessere ogni 20 anni, oggi dobbiamo attendere 70 anni. Ciò penalizza particolarmente le classi di reddito modesto che vedono aumentare in modo esponenziale le spese obbligatorie, tipo cassa malati e imposte, rispetto ai loro guadagni. Comprensibilmente tale fatto può essere fonte di tensioni sociali. Un recente studio del BAK Economic Intelligence di Basilea ci conferma le perplessità a proposito dello sviluppo economico. Nel decennio 2012-2022 i risultati economici svizzeri sono aumentati annualmente dello 0,9%, ciò che ci pone nella graduatoria internazionale agli ultimi posti.

Tutto sta a indicare che il periodo delle vacche grasse, del quale abbiamo approfittato dal dopoguerra via, sta mutando, come pure sta mutando la situazione geopolitica e spirano già venti di guerra. Forse è arrivato il momento di rivalutare una delle virtù borghesi: quella del risparmio.