Oggi inizia la scuola, un diritto non per tutti
L’assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948, a seguito della Seconda guerra mondiale. L’articolo 26 della Dichiarazione, piuttosto noto, ricorda che «ogni individuo ha diritto all’istruzione». E poi che «l’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito». È il caso di riportare interamente l’articolo, o quasi: «L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace».
Riportare questo articolo, una volta di più, trova un senso nei dati forniti dall’UNICEF, secondo cui sono 250 milioni i ragazzi e le ragazze tra i 6 e i 18 anni, in tutto il mondo, che non hanno accesso all’istruzione, 64 quelli che non possono nemmeno frequentare la scuola primaria. Numeri enormi, sconcertanti, per dirla con Bettina Junker, direttrice generale dell’UNICEF. Numeri che ci ricordano come questo diritto non sia scontato, tutto il contrario. E il mancato rispetto di questo diritto provoca ulteriori disequilibri in una società già di per sé a più velocità.
L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale, diceva Nelson Mandela. «È attraverso l’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione». La stessa Junker insiste su questo punto, quando sottolinea che l’istruzione è la chiave per consentire ai bambini di realizzare il loro pieno potenziale, di sviluppare il pensiero critico e di acquisire le competenze necessarie per partecipare attivamente alla società. Ma il concetto di scuola in termini inclusivi non è una retorica utile a distinguere “semplicemente” il primo dal terzo mondo. È qualcosa di più, e ci tocca da molto vicino. Ci sono disuguaglianze anche nello stesso Occidente.
Non si tratta, qui, di avere o meno accesso all’istruzione, ma di avere ognuno le stesse opportunità di sviluppare il proprio potenziale. E questo non è garantito. Deve essere però un obiettivo della nostra società, della nostra politica. Quando si parla di pari opportunità, si deve puntare in questa direzione, ben oltre la cortina di fumo che spesso avvolge le discussioni sul tema. E questo proprio perché alcuni ritardi o alcune mancanze rispetto agli obiettivi fissati dall’istruzione hanno poi ripercussioni sulla vita adulta dei singoli, generando - anche in questo caso, anche in Occidente - ulteriori disuguaglianze, pure in termini di partecipazione alla vita sociale, alla crescita della società nel suo insieme.
Non insistere per avere, per ottenere, pari opportunità per il bene dell’infanzia tutta, equivale a voler sfruttare tali distanze come un’arma, in difesa di uno stallo sociale, quando non di un vantaggio. Alcuni esempi, allargando nuovamente l’ideale obiettivo, sono sotto gli occhi del mondo intero. Basti pensare all’Afghanistan, agli ostacoli posti dai talebani alle giovani donne. Per difendere ruoli dettati dalla tradizione, ma soprattutto per alimentare un circolo vizioso di potere, che un’evoluzione della società potrebbe mettere a rischio. Si torna sempre lì. Lasciando che a pagare il prezzo poi siano proprio i bambini.