Pensieri di libertà

Paura e speranza

Per poter continuare a vivere bisognerebbe scrivere sul pacchetto del futuro, mi dico, «Contiene tracce di speranza»
Francesca Rigotti
Francesca Rigotti
03.10.2024 06:00

In che rapporto stanno paura e speranza? In rapporto inverso, nel senso che al crescere della paura diminuisce la speranza? O diretto, nel senso che crescono insieme, sicché la speranza cresce al crescere della paura? E se la paura può essere indotta artificialmente, come ben si sa, può esserlo anche la speranza? Sono domande complesse e difficili, ce ne rendiamo conto. Ma proviamo almeno a cominciare ad affrontarle, con queste poche righe, dal momento che ci riguardano direttamente. Se dunque il secolo scorso, il Novecento, fu una sfida alla speranza con i suoi crolli di civiltà: due guerre mondiali, l’Olocausto, i Gulag, questo secolo è compromesso da un futuro minaccioso. Si spera in qualcosa di bello che sta nel futuro ed è possibile. Ma come si può sperare quando in molti luoghi incombono catastrofi e per alcuni siamo di fronte al tramonto dell’umanità, non a causa dei conflitti bellici – anch’essi non certo rassicuranti – ma della crisi climatica ed ecologica in genere?

Molte voci contemporanee, di scienziati, filosofi, letterati o attivisti del clima, non concedono nulla alla speranza. Si pensi al grido di dolore lanciato nel gennaio del 2019 al Foro Economico di Davos dall’allora sedicenne studentessa svedese Greta Thunberg: «Non voglio la vostra speranza. Non voglio che siate fiduciosi. Voglio che entriate nel panico. Voglio che proviate la paura che provo io tutti i giorni e voglio che agiate».

Ma ancora: che senso ha agire se non c’è speranza alcuna? Perché «spostare le sdraio sul ponte del Titanic che affonda», come ha detto qualcuno, se tanto in ogni caso la nave colerà a picco? Eppure la speranza è un tonico contro la rassegnazione e la paura. Possiamo, dovremmo, dobbiamo sperare per affrontare opportunamente la crisi climatica? O dobbiamo invece «lasciare ogni speranza», come Dante trova scritto sulle porte dell’inferno? Quando sappiamo che i ghiacciai e la calotta polare si sciolgono, che si desertificano o diventano steppe terreni una volta fertili, che la biodiversità cala in maniera vertiginosa, e che di conseguenza immensi gruppi di profughi e migranti «climatici» si metteranno in cammino per salvarsi? Si tratta forse di una strategia retorica, che prospetta il peggio dipingendo il diavolo sul muro per muovere verso una svolta ecologica? Che spinge alla speranza insieme alla paura, così che cresca la speranza al crescere della paura e chi si sente minacciato fortemente dal pericolo speri di sfuggirgli e inizi ad agire, e questo persino se sa che ciò non sarà possibile? In fondo sperare, come credere, contiene l’idea di un futuro incerto, mentre sapere implica la certezza. Per poter continuare a vivere bisognerebbe scrivere sul pacchetto del futuro, mi dico, «Contiene tracce di speranza».