Perché è in crisi lo Stato moderno

L'UE e i problemi di spesa pubblica e burocrazia
Piero Ostellino
14.05.2010 05:00

di PIERO OSTELLINO - Per ora l?euro è salvo. La decisione dell?Unione europea di far acquistare dalla BCE, la Banca centrale, e da quelle nazionali i titoli del debito pubblico degli Stati esposti alla speculazione internazionale mette al riparo la moneta unica da un possibile crollo, gli Stati più indebitati dal fallimento e la stessa Unione dallo sfaldamento. Il salvataggio degli uni, degli altri e dell?altra ancora era urgente e necessario, ma rischia di tradursi in una grande illusione. Abbassa, infatti, la febbre, che era diventata acuta, ma non cura la malattia; che è il baco che guasta, dall?interno, i singoli Stati membri. L?Unione europea è ancora esposta ai pericoli se non si riformano gli Stati. Ma nessuno pare pensarci. Il baco è la sindrome, l?epifenomeno, della crisi generale dello Stato moderno, che è diventato la nuova forma dello Stato etico. Al tempo stesso paternalista e dispotico. Con il welfare dà e con la tassazione toglie. Se ciò che dà è più di quanto potrebbe permettersi di dare, produce uno squilibrio di bilancio e la conseguente crisi finanziaria. Se ciò che toglie è più di quanto dovrebbe togliere, a soffrirne è il cittadino e si riducono le possibilità di crescita del Paese, che affonda, così, sempre più nella crisi. L?Unione europea si è preoccupata della possibile crisi finanziaria dei singoli Stati, cercando di prevenirla e scongiurarla con i vincoli del Trattato di Maastricht che impongono di non superare certi parametri nel deficit annuo, nell?indebitamento complessivo e negli altri ambiti che contribuirebbero a estendere l?infezione. Ma non ha risolto il problema (politico) del contenimento della spesa pubblica che i singoli Stati continuano a cavalcare, del debito complessivo che continua a crescere e dell?aumento costante della pressione fiscale per farvi fronte. Della spesa e della tassazione gli Stati, meglio è dire la loro classe politica, non sembrano preoccuparsi perché spesa pubblica e tassazione elevate producono «rendita politica»; dipendenza dalla Pubblica amministrazione, clientelismo, parassitismo, corruzione, consenso elettorale.Il problema dello Stato moderno non è il conflitto fra libertà e eguaglianza, fra individuo e collettività, come vuole l?antica dicotomia fra liberalismo e democrazia. Posta in questi termini, la natura dello Stato moderno è inaffrontabile, perché è un caso o, meglio, un alibi ideologico. Lo Stato moderno non è a metà liberale e a metà dirigista, a seconda che vada al potere la destra, meno propensa a spendere e a tassare, ovvero la sinistra più incline a entrambi. È, al contrario, una gigantesca, costosa, invasiva e permanente burocrazia; che giustifica sé stessa col solo fatto di esistere e che ha a proprio fondamento essere funzionale alla «rendita politica» di chi detiene il potere, quale ne sia il colore. Da un lato lo Stato-burocrate non risponde a criteri di efficienza, ma a canoni autoreferenziali; dall?altro è il mezzo che la politica utilizza per raccogliere consenso. E qui scattano sia la crisi della democrazia rappresentativa, sia l?inganno che la politica perpetua ai danni del cittadino, che crede, si illude, o è illuso, di essere finito nel Paese di Bengodi e invece precipita ogni giorno di più all?inferno senza manco accorgersene. Il cittadino ha la percezione di godere di un beneficio quando paga il biglietto dell?autobus, o qualsiasi altro servizio pubblico, meno di quanto lo pagherebbe a prezzo di mercato (costo del servizio più profitto dell?esercente privato). In realtà, lo paga due volte. Una prima volta con le tasse sul proprio reddito, grazie alle quali lo Stato può apparentemente, solo apparentemente, contenerne i costi, ma a scapito della produttività del servizio il cui «costo complessivo» è (solo) «invisibile», bene occultato come è agli occhi dell?utente. Contemporaneamente lo Stato guadagna consenso da parte del cittadino riconoscente. Una seconda volta con l?esborso ogni volta che sale sull?autobus. Il prezzo «reale» per il cittadino – tasse più esborso – è quello che egli paga sia per il costo «complessivo invisibile» del servizio, sia alla «rendita politica» di chi detiene il potere e ne guadagna consenso. Appare evidente, allora, che i rappresentanti del popolo non esercitano il potere in nome, e al servizio, del popolo, dell?interesse generale del Paese, ma sono il popolo e l?interesse generale a essere al loro servizio al solo scopo di far funzionare la macchina pubblica dalla quale essi traggono un «plusvalore politico». A differenza del plusvalore teorizzato da Karl Marx – la quantità di valore-lavoro sottratta al lavoratore dall?imprenditore, «il padrone» – è il frutto dello sfruttamento del cittadino-contribuente da parte dello Stato moderno, incarnato dalla classe politica al potere. Né vale l?obiezione che lo Stato moderno è anche, se non soprattutto, lo Stato sociale che accompagna – come si suole dire – il cittadino dalla culla alla tomba alleviandone le difficoltà. Evidentemente non si tratta di smantellare lo Stato sociale. Ma di prendere atto che esso non è la soluzione del problema, ma – per dirla con Ronald Reagan – «è il problema». Così strutturato, lo Stato moderno e sociale, diventato Stato etico, non solo non ce la fa più a dare con una mano e togliere con l?altra in un circolo vizioso infinito che porta solo alla crisi come ha rivelato la situazione europea recente, ma è costretto a divorare i suoi cittadini per sopravvivere. Il problema è, dunque, non di smantellarlo, ma di razionalizzarne il colossale, costoso, dispotico apparato burocratico. Un problema che le classi politiche dei singoli Stati non paiono in grado, o non sono interessate, non solo di individuare, ma soprattutto di affrontare, per non dire di risolvere. E che l?Unione europea non è in grado di risolvere per loro, per carenza di poteri e, a sua volta, per vischiosità burocratiche.