Il commento

Quadro USA e prospettive dei mercati finanziari

Le reazioni immediate dei mercati all’elezione di Trump non sono state univoche e questo è un segno della complessità del quadro
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
09.11.2024 06:00

Le reazioni immediate dei mercati all’elezione di Trump negli USA non sono state univoche e questo è un segno della complessità del quadro. La Borsa americana è andata al rialzo, in parte perché la vittoria di Trump è stata netta ed ha evitato incertezze che ai mercati non piacciono, in parte perché c’è la speranza che il ritornato presidente tenga fede a quanto affermato in tema di azione a favore delle imprese e di alleggerimenti fiscali. Le Borse europee, inclusa quella svizzera, sono andate invece al ribasso, perché al di là dell’incertezza politica evitata c’è il fattore aumento del protezionismo USA, con gli ulteriori incrementi dei dazi che Trump ha minacciato; misure dirette contro la Cina ma anche contro altre aree, Europa compresa. I tassi americani di mercato sono saliti in coincidenza del voto e ciò ha fatto emergere le posizioni di una parte degli investitori, quella che si aspetta che l’inflazione USA smetta di scendere, a causa degli aumenti dei prezzi legati ai dazi sull’import e di un’assenza di freni sufficienti alla spesa pubblica. Se l’inflazione cesserà il suo calo durante la nuova presidenza Trump, si potrebbe/dovrebbe tornare ad aumenti dei tassi di interesse USA e questo è appunto quanto una parte del mercato prevede. Ciò crea movimenti anche a livello delle obbligazioni, che sono collegate al livello degli interessi. Le obbligazioni pubbliche USA, pur restando forti grazie alla potenza americana, sono d’altronde soggette a periodici interrogativi sulle loro prospettive, a causa del continuo aumento di deficit e debito pubblici. Nessuno dei due candidati alla presidenza ha posto obiettivi di contenimento del disavanzo e dell’indebitamento.

Il dollaro è salito subito dopo la vittoria di Trump, per un mix delle ragioni già citate: l’assenza di incertezze, le attese di una parte degli investitori su una non troppo lontana cessazione dei tagli ai tassi. Il taglio deciso ieri l’altro dalla Fed sarebbe secondo loro uno degli ultimi. E con interessi maggiori la valuta è spesso più richiesta, perché offre rendimenti più alti. Un dollaro più forte potrebbe portare qualche vantaggio agli USA, ad esempio potrebbe rendere meno caro l’import; ma se la risalita andasse troppo in là, ci sarebbero anche svantaggi, tra i quali gli ostacoli creati all’export. Inoltre, in questo caso uno dei motivi del rafforzamento del dollaro sarebbe appunto uno stop al calo del costo del denaro, elemento questo che non aiuta consumi e investimenti. Fortunatamente, il quadro economico USA che Trump eredita ha molti punti di forza. La crescita economica sin qui è stata robusta, l’inflazione è scesa, la disoccupazione sta tornando a salire ma resta a livelli contenuti, gli utili aziendali nel complesso rimangono buoni. Tutti questi sono fattori positivi non solo per gli USA ma anche per l’economia mondiale e per le Borse. Queste ultime potrebbero nonostante tutto mantenere il loro trend positivo, tanto più visto che il rallentamento economico non si è trasformato in recessione internazionale. Ci vogliono però due condizioni di fondo. La prima è che lo scenario geopolitico, già molto pesante, non peggiori oltre il limite; vedremo da questo punto di vista se Trump riuscirà o no a far calare le tensioni e, se sì, a che prezzo. La seconda è che il ritornato presidente USA non ecceda nel permettere nuova inflazione e nell’incrementare dazi e barriere. Qualcosa in questa direzione Trump con ogni probabilità farà, perché i dazi sono una sua bandiera. Ma se superasse la soglia ci potrebbero essere duri contraccolpi, per l’economia internazionale e anche per i mercati finanziari. Speriamo che a Washington rimanga qualche valido consigliere economico.

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